“Stop Deep Sea Mining” (fermate l’estrazione in acque profonde).
È questo l’urlo degli attivisti di Greenpeace negli ultimi giorni che cerca di difendere le profondità dell’Oceano Pacifico.
Greenpeace è di nuovo in azione per proteggere i fondali oceanici del Pacifico e le estrazioni minerarie in acque profonde.
L’Oceano profondo è un ecosistema ancora poco conosciuto che ospita un importante deposito di CO2 e una notevole biodiversità da proteggere; basti pensare che nuove specie che lo abitano vengono scoperte ogni anno.
Mari e oceani sono da sempre una fonte preziosa di risorse per l’uomo.
Nell’ultimo secolo queste risorse sono state ampiamente sfruttate; la pesca intensiva e l’estrazione di idrocarburi sono solo alcuni tra gli esempi più noti di sfruttamento che hanno portato alla degradazione degli ecosistemi marini.
“I fondali oceanici devono rimanere off-limits per l’estrazione mineraria” commenta Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.
Nella vicenda è coinvolta la nave Maersk Launcher, noleggiata da DeepGreen, una delle società che guida la corsa alle estrazioni minerarie in acque profonde.
Una seconda protesta pacifica ha avuto luogo nel porto di San Diego negli Stati Uniti, dove attivisti della ONG hanno mostrato uno striscione contro la nave noleggiata da un’altra importante compagnia mineraria d’altura, la belga Global Sea Mineral Resources (GSR).
Questa nave dovrebbe salpare a breve con l’obiettivo di effettuare una serie di test con un prototipo di robot minerario in grado di operare a una profondità di oltre 4.000 metri sui fondali dell’Oceano Pacifico, in acque internazionali.
Gli ecosistemi marini profondi sono estremamente sensibili e possono richiedere decenni o secoli per recuperare la loro composizione originale se alterati.
L’anno scorso, un’indagine di Greenpeace International ha rivelato che attraverso filiali, subappaltatori e partnership, alcune società hanno stretto contratti di estrazione mineraria in acque profonde, per una superficie complessiva di mezzo milione di chilometri quadrati, nel fondale marino dell’Oceano Pacifico, in acque internazionali.
“E’ necessario che entro il 2021 si arrivi ad approvare un Trattato globale per gli oceani che garantisca la tutela degli ecosistemi marini e fermi il loro gravissimo sfruttamento. Più distruggiamo i nostri mari, più mettiamo a rischio noi stessi, e le comunità insulari del Pacifico che dipendono da un oceano in salute, sono quelle più esposte” – conclude Monti.
Victor Pickering, attivista delle Fiji a bordo della Rainbow Warrior, la nave di Greenpeace, commenta: “L’oceano fornisce cibo alle nostre famiglie e collega tutti noi abitanti delle isole del Pacifico da un’isola all’altra. La nostra gente, la nostra terra, sta già affrontando le minacce di tempeste estreme, innalzamento del livello del mare, inquinamento da plastica e popolazioni ittiche decimate dalla pesca industriale.”’
”’Non posso restare in silenzio e guardare un’altra minaccia, – conclude l’attivista – l’estrazione in acque profonde, che porta via il nostro futuro”.
La sete di risorse continua a spingersi sempre più verso le profondità oceaniche, in particolare sui fondali ricchi di minerali. Gli interessi delle industrie minerarie sono ancora significativamente concentrati su di essi.
Queste risorse non sono rinnovabili e comportano dei compromessi, nel caso dell’attività mineraria nei fondali oceanici è quantomeno sicura e inevitabile una perdita della biodiversità.
Dobbiamo ampliare la nostra conoscenza sugli ecosistemi marini prima che questi vengano alterati in modo irreversibile.
Dobbiamo proteggere i nostri tesori in fondo al mare e per farlo dobbiamo divulgarne sempre di più la loro conoscenza e importanza.
Dobbiamo.