Speleonauti alla conquista di Luna e Marte

Tunnel lavici, come sulla Terra, sono presenti anche sulla Luna e su Marte. Ma qual’è la differenza tra di loro? Lo hanno scoperto ricercatori dell’Università di Padova e Bologna e dalle loro analisi si intuisce che Luna e Marte presentano condizioni ambientali idonee all’esplorazione umana.

La geologia si dimostra ancora una scienza fondamentale per  l’esplorazione planetaria e gli speleonauti saranno, di sicuro, gli scienziati del futuro!

 

Sono passati migliaia di anni eppure sembra proprio che i primi uomini su Marte vivranno come i primi uomini sulla Terra, ossia: nelle caverne.

Questo scenario, all’apparenza fantascientifico, si fa sempre più concreto dal momento che è stata confermata la presenza su Luna e Marte di complessi sotterranei di grotte vulcaniche, chiamati canali (o tunnel) lavici.

Sulla Terra tunnel lavici, come lo Surtshellir in Islanda, sono conosciuti e studiati fin dalla metà del 1700.

Ora come in passato, le località dove è più facile imbattersi in questo tipo di strutture vulcaniche sono quelle caratterizzate da un vulcanismo di tipo basaltico come, ad esempio: Islanda, Australia nord-orientale, Hawai’i, Canarie, Galapagos, Sicilia, etc.

Particolarmente famosi sono i tunnel lavici ancora attivi delle Hawai’i.

Questi si formano durante eruzioni vulcaniche quando la porzione esterna della colata di lava solidifica, formando una sorta di galleria, all’interno della quale il fiume di lava continua a scorrere. Al termine dell’eruzione, la lava defluisce lasciando il condotto drenato.

Tunnel lavici su Luna e Marte

L’ipotesi che tali strutture non fossero una prerogativa del nostro pianeta, ma che potessero esistere anche sugli altri corpi rocciosi del sistema solare, frullava nella mente degli scienziati già alla fine degli anni ’80.

Questo perché, conoscendo il passato geologicamente molto attivo di corpi come Marte e Luna, è sembrato logico aspettarsi di trovare tunnel lavici anche sotto la superficie di questi ultimi.

In particolare su Marte, visti i grandi sistemi vulcanici dei Tharsis e l’Olympus Mons, che con i suoi 15 Km di altezza è il vulcano più alto del sistema solare.

La conferma dell’effettiva presenza di canali lavici su Marte e Luna è arrivata però solo in tempi recenti, grazie ad immagini satellitari di dettaglio.

Di grande importanza è stato lo studio condotto da ricercatori dell’Università di Padova e Bologna (Francesco Sauro, Riccardo Pozzobon, Matteo Massironi, Pierluigi De Berardinis, Tommaso Santagata e Jo De Waele) in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), pubblicato lo scorso luglio.

Titolo dello studio: “Lava tubes on Earth, Moon and Mars: A review on their size and morphology revealed by comparative planetology” (Tunnel di lava su Terra, Luna e Marte: una revisione delle loro dimensioni e morfologia rivelata dalla planetologia comparativa).

Per confermare la presenza di questi canali sotterranei, gli studiosi si sono affidati allo studio delle immagini satellitari ad alta risoluzione che hanno permesso di identificare sinuose sequenze di collassi (sinkholes) e fori, o lucernari (skylights), in corrispondenza dei punti ove il soffitto dei canali lavici è crollato.

La differenza principale delle strutture marziane e lunari da quelle terrestri sono le dimensioni.

I tunnel lavici terrestri infatti, pur sviluppandosi anche per diverse decine di chilometri hanno un diametro che può raggiungere, al più, i 10-20 metri di diametro, mentre – si legge nella ricerca – ‹‹i dati raccolti indicano che i tubi marziani e lunari sono da 1 a 3 ordini di grandezza più voluminosi di quelli terrestri››.

Confronto tra canali lavici provenienti da diversi corpi rocciosi del Sistema Solare. Da sinistra: Terra (Undara, Australia), Marte (regione di Arsia Mons) e Luna (cratere Gruithuisen). Credits: Ilaria Tomasi.

Le notevoli dimensioni che si raggiungono su corpi rocciosi più piccoli della Terra, sono legati essenzialmente alla minor gravità che in passato ha favorito maggiori tassi di eruzione ed ora garantisce condizioni di stabilità molto elevate.

Queste caratteristiche lasciano intendere che le condizioni siano idonee all’esplorazione umana.

Ai futuri esploratori, ed esploratrici, del sistema solare quindi, non sarà richiesto solo di sapere come si pilotano navicelle spaziali e rover di superficie, ma essi dovranno essere in grado di esplorare e adattarsi a vivere nel sottosuolo.

È dal 2011 che ESA propone ad astronauti di diverse agenzie spaziali (ESA, NASA, JAXA – giapponese, Roscosmos – russa, CSA – canadese e CNSA – cinese) i progetti di CAVES (Cooperative Adventure for Valuing and Exercising human behaviour and performance Skills) e PANGEA (Planetary ANalogue Geological and Astrobiological Exercise for Astronauts).

Il progetto CAVES consiste in un corso di formazione di tre settimane in cui, squadre multiculturali di astronauti vengono preparate a lavorare in modo efficace e sicuro in ambienti poco ospitali come quelli speleologici.

CAVES prepara gli astronauti a diventare veri e propri speleologi, insegnando loro come comportarsi nel sottosuolo per eseguire esperimenti scientifici (di biologia e microbiologia), mappare l’ambiente, documentare le loro attività e testare dispositivi di comunicazione sotterranei, in sicurezza.

Per completare l’addestramento segue il corso PANGEA che fornisce agli astronauti, conoscenze introduttive e pratiche che saranno loro necessarie nelle future missioni sulla Luna, Marte e asteroidi.

Astronauti durante l’esplorazione del tunnel lavico di Lanzarote, Canarie (PANGEA 2016). Credits: ESA – L.Ricci https://www.esa.int/Science_Exploration/Human_and_Robotic_Exploration/CAVES_and_Pangaea/One_small_step_for_a_geologist

Durante il corso imparano ad individuare e catalogare campioni di roccia interessanti, identificandone le caratteristiche geologiche, sapendo anche riconoscere tracce di vita presente o passata (fossili).

Le diverse edizioni di CAVES e PANGEA hanno permesso agli astronauti di sperimentarsi in diversi ambienti geologici, sviluppando competenze pratiche per essere efficaci scienziati sul campo durante le future missioni di esplorazione planetaria.

In particolare, le esplorazioni di CAVES si sono svolte in ambiente di tipo carsico, portando istruttori ed astronauti a vivere per alcuni giorni in diverse grotte carsiche di Italia (Sardegna) e Slovenia.

Le edizioni di PANGEA invece, hanno portato gli, ormai, speleonauti ad investigare ambienti analoghi a quelli che troveranno su Luna e Marte come: il cratere di Ries (Germania), il canyon del Bletterbach (dolomiti italiane, Alto-Adige), i tunnel lavici di Lanzarote (Canarie) e le anortositi delle Lofoten (Norvegia).

Sul sito dell’ESA è riportato come il programma di CAVES & PANGEA sia stato riconosciuto da tutti gli astronauti partecipanti e, in particolare, da coloro che hanno viaggiato nello spazio, come ‹‹una delle migliori esperienze analoghe spaziali vissute sulla Terra››.

La geologia si conferma sempre di più come una componente fondamentale del bagaglio tecnico e culturale di futuri esploratori, ed esploratrici, dello spazio, che non potranno più limitarsi a sopravvivere in ambienti avversi al genere umano, riportando a casa rocce campionate casualmente, come avvenuto nelle missioni Apollo precedenti alla Apollo 17 (unica missione con un geologo, Harrison H. Schmitt, tra i membri dell’equipaggio).

Gli speleonauti del futuro saranno chiamati ad essere ricognitori su mondi alieni per le generazioni che verranno.

Illustrazione di una futura base lunare. Credits: ESA.

IMMAGINE IN EVIDENZA: Esplorazione dell’ambiente sotterraneo, in foto l’astronauta Alexander Gerst (CAVES 2019). Credits: ESA–A. Romeo https://www.esa.int/ESA_Multimedia/Images/2021/03/Exploring_the_cave_environment

 

 

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