Le recenti responsabilità penali in campo ambientale introdotte dalla Legge 68 del 2015. Diritto o dovere ad un ambiente salubre?

 Siamo ad un punto di non ritorno. I cittadini se non sono “minacciati” da una norma punitiva, non cambiano abitudini e non assumono una condotta corretta.

Le novità introdotte dalla Legge 68 del 2015 (“Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”). Chi colpisce duramente la Legge.

Nella difficile relazione tra uomo ed ambiente potremmo dire, senza ombra di dubbio, che siamo ad un punto di non ritorno. Non un giorno in più possiamo perdere per tentare di porre un freno, un argine ad una situazione di degrado ed inquinamento ambientale piuttosto grave e fortemente diffusa.

Aria, acqua, terra, tutti elementi di Madre Natura che negli ultimi trent’anni hanno patito gli eccessi di sfruttamento e di costante disinteresse dell’azione umana, volta esclusivamente al raggiungimento del profitto economico, senza badare ad eventuali conseguenze nefaste di quella cieca corsa.

Forse (si spera!!) ci si è resi conto, a livello sia individuale che comunitario, che i costi della logica del becero profitto sono troppo alti per continuare a godere, a titolo gratuito, per sé e soprattutto per le future generazioni, di un ambiente sano e salubre.

Non bisogna avere particolari conoscenze scientifiche per poter constatare, quotidianamente, che qualcosa nell’ambiente circostante non va più: il mare è popolato da nuovi essere inanimati (microplastiche), che poi, attraverso l’attività della pesca, ritornano gustosamente sulle nostre tavole; l’aria in tante città, in particolari periodi dell’anno, diventa irrespirabile; i campi, sfruttati con un’agricoltura troppo intensiva, non offrono più i prodotti genuini di un tempo; i repentini cambiamenti climatici, dovuti anche ad un innalzamento delle temperature, sono seguiti spesso da inevitabili disastri geologici.

Una spiaggia ricoperta da quintali di rifiuti provenienti dal mare (foto di Antonio Toscano)

 

Tutte situazioni, si potrebbe affermare, oramai endemiche e che sono senza alcun dubbio collegabili all’opera dell’uomo, spinto, come detto, dalla logica del guadagno che passa inevitabilmente attraverso un consumismo distruttivo.

Dunque, se l’uomo è causa dei suoi mali ambientali, solo l’uomo può porvi rimedio o tentare di mitigare i danni del suo agire, dando una vera virata al suo comportamento scellerato ed irrazionale.

Ma delle volte, anzi spesso, i cittadini se non sono “minacciati” dall’esistenza di una norma punitiva, di una sanzione, non cambiano abitudini, non assumono una condotta corretta.

Certo, a modesto parere di chi scrive, la sola azione repressiva, pur se necessaria, non è mai sufficiente, essendo molto più incisive opere di prevenzione e di sensibilizzazione culturale verso le tematiche ambientali, in particolare dei più giovani, che si ritrovano, in parte, a pagare gli errori di scelte politiche dei propri padri che credevano, forse, sbagliando, nell’inesauribilità delle risorse naturali.

In ogni caso, va dato atto e merito al Legislatore nazionale, compulsato anche dagli interventi dell’Unione Europea, di aver emanato negli ultimi anni importantissime norme dirette:

I) alla tutela dell’ambiente, nelle sue diverse aree e settori;

II) all’individuazione di condotte illecite (alcune anche penalmente rilevanti), da sanzionare;

III) all’identificazione di precise responsabilità ambientali, anche nel caso di attività svolta da enti e società.

Tra questi provvedimenti ricordiamo:

a) il D.Lgs. n. 231 del 2001 che ha introdotto, per la prima volta, un particolare regime di responsabilità amministrativa degli enti collettivi (siano essi società e/o associazioni, anche privi di personalità giuridica), poi ampliata, grazie all’introduzione del D.Lgs. n. 121 del 2011, di recepimento (tardivo) delle Direttive Europee 2008/99 Ce e 2009/123 Ce, anche alla commissione di alcuni illeciti ambientali;

b) il D. Lgs. n. 152 del 2006, cd. Testo Unico Ambientale ed impropriamente conosciuto come Codice Ambientale, modificato sempre dal D.Lgs. n. 121 del 2011 e da altri più recenti provvedimenti;

c) i decreti legislativi n. 128 e n. 205 el 2010;

d) il d.lgs. n. 46 del 2014;

e) la legge n. 68 del 2015;

f) il d.lgs. n. 104 del 2017 di recepimento della direttiva n. 2014/52/UE;

g) il recentissimo D.L. 77 del 2021 (cd. P.N.R.R.) come convertito dalla legge n. 108 del 29 luglio 2021 che prevede una profonda semplificazione delle norme sui procedimenti in materia ambientale e, in particolare, delle disposizioni concernenti la valutazione di impatto ambientale (V.I.A.): snellimento necessario per poter accedere ai cospicui fondi stanziati dall’Europa.

Fatte queste premesse di carattere generale, si intende ora soffermare l’attenzione sulle principali novità introdotte dalla legge 68 del 2015 (“Disposizioni in materia di delitti contro l’ambiente”).

Il Legislatore del 2015, con il provvedimento or ora citato, ha notevolmente inciso sulla preesistente normativa in tema di responsabilità ambientale.

Ha, infatti, aggiunto il Titolo VI bis al Titolo V del Codice Penale; ha modificato alcuni articoli del T.U.A. del 2006 e del D.Lgs. n. 231 del 2001; ha profondamente innovato anche la legge n. 150 del 1992, relativa ai reati previsti dalla Convenzione di Washington sul Commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, più comunemente conosciuta come CITES (un accordo internazionale tra Stati che ha lo scopo di proteggere piante ed animali a rischio di estinzione, regolando e monitorando il loro commercio, ovvero esportazione, riesportazione e importazione di animali vivi e morti, di piante, nonché di parti e derivati, entrata in vigore nel 01.7.1975 e ratificata dall’Italia con la legge n. 874 del 19.12.75)

Le modifiche apportate al codice penale – con l’introduzione del Titolo VI Bis (dall’art. 452 bis all’art. 452 terdecies) – sono di notevole portata.

Già la rubrica del nuovo titolo (Dei delitti contro l’ambiente) sembra rappresentare una svolta nella lotta ai crimini contro l’ambiente: non più solo ipotesi di reati cd. contravvenzionali, ma anche condotte che configurano veri e propri delitti (con sanzioni chiaramente più aspre).

Ad esempio, l’art. 452 bis disciplina espressamente il caso, purtroppo assai diffuso, del reato di inquinamento ambientale e prevede che:

“ …È punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata…” La successiva disposizione invece regola il caso in cui dai fatti di cui al precedente articolo, derivino la morte o le lesioni.

Degno di nota è anche l’art. 452 quater che invece “tipizza” le condotte di disastro ambientale, descrivendone le caratteristiche:

“ … Fuori dai casi previsti dall’articolo 434, chiunque abusivamente cagiona un disastro ambientale è punito con la reclusione da cinque a quindici anni. Costituiscono disastro ambientale alternativamente: 1) l’alterazione irreversibile dell’equilibrio di un ecosistema; 2) l’alterazione dell’equilibrio di un ecosistema la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali; 3) l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza del fatto per l’estensione della compromissione o dei suoi effetti lesivi ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo. Quando il disastro è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata…”. Come è possibile constatare, può arrivarsi anche fino a quindici anni di reclusione. Tali reati se compiuti con colpa e non con dolo sono invece puniti, chiaramente, con pene minori (art. 452 quinquies).

Con la Legge 68 del 2015 si è deciso inoltre di duramente colpire:

I) con l’art. 452-sexies, anche il reato di traffico ed abbandono di materiale di alta radioattività, irrogando sanzioni tanto più gravi quanto più sono in pericolo o compromessi beni essenziali quali l’aria, l’acqua, il suolo, il sottosuolo, un ecosistema o anche la stessa vita umana. Può giungersi fino anche a quasi dieci anni di reclusione;

II) con l’art. 452 octies i fenomeni associativi criminali diretti alla commissione specifica o concorrente dei reati di cui al nuovo Titolo VI bis.

In quest’ultimo caso, le pene già disciplinate nell’art. 416 del codice penale, sono aumentate, così come sono ancor più pesanti se del sodalizio mafioso o camorristico fanno parte “ …pubblici ufficiali o incaricati di un pubblico servizio che esercitano funzioni o svolgono servizi in materia ambientale…”.

Costituisce poi, ai sensi dell’art. 452 novies specifica “aggravante ambientale” di altro reato, il commettere l’azione criminosa al solo scopo di eseguire uno o più tra i delitti previsti da nuovo titolo V bis, dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, o da altra disposizione di legge, posta a tutela dell’ambiente, ovvero se dalla commissione del fatto deriva la violazione di una o più norme previste dal citato decreto legislativo n. 152 del 2006 o da altra legge che tutela l’ambiente.

In tali ipotesi, la pena, nel primo caso, è aumentata da un terzo alla metà e nel secondo caso, è aumentata di un terzo. In ogni caso il reato è procedibile d’ufficio. La novità è indiscutibile.

Viene poi punita anche la condotta di chi, obbligato dalla legge, da un ordine del Giudice o dall’Autorità Amministrativa, omette di eseguire le bonifiche dei luoghi inquinati.

In tal caso, la pena inflitta è la reclusione da uno a quattro anni, con una multa che oscilla tra i 20.000 ed 80.000 euro (art. 452-terdecies).

Ma il Parlamento, con l’intervento legislativo del 2015, ha apportato, come detto, anche altre modifiche:

I) al D.Lgs. n. 231 del 2001, aggiungendo l’art. 25-undecies, con la previsione di sanzioni, di carattere pecuniario, per gli enti nel caso di commissione dei nuovi reati ambientali del codice penale;

II) al T.U.A. (D.lgs. n. 152 del 2006) inserendo la parte VI bis con gli articoli dal 318 bis al 318 octies.

Queste ultime disposizioni normative, sia chiaro, si applicano esclusivamente nelle ipotesi di reati, meno gravi, di natura contravvenzionale, come previsti dal Testo Unico sull’Ambiente che non abbiano cagionato danno o pericolo concreto e attuale di danno alle risorse ambientali, urbanistiche o paesaggistiche protette.

Il minor peso criminale di tali condotte lo si evince dalla possibilità che il Legislatore concede al contravventore di estinguere il reato, purché si adempia alle prescrizioni impartite dagli organi di vigilanza. Dunque, per usare altri termini, il reo ha la facoltà di regolarizzare la propria situazione di (temporanea) inosservanza.

L’operatore del diritto (sia esso avvocato o giudice) dovrà allora ben orientarsi in questo coacervo di norme ambientali, sempre in evoluzione, per assumere, nel primo caso, la miglior difesa per il proprio assistito o, nel secondo caso, per infliggere una condanna quanto più equilibrata ed aderente alla fattispecie astratta disciplinata dal codice o da altri provvedimenti di legge. Si pensi ad un’attività di gestione di rifiuti non autorizzata.

Tale condotta potrà esser punita come ipotesi di reato contravvenzionale, estinguibile, se non cagiona una compromissione o un deterioramento significativo e misurabile, ad esempio dell’acqua e/o dell’aria, in caso contrario, si potrà anche incorrere nel gravissimo reato di inquinamento ambientale di cui all’art. 452 bis del Codice Penale.

La stessa attività di pesca di corallo rosso (cd. corallium rubrum) può essere esercitata, ad esclusione delle zone protette, con le necessarie autorizzazioni o senza, incorrendo, nel caso di assenza di permessi, in ipotesi di reato contravvenzionale.

Ma, la stessa attività, può essere concretizzata anche con modalità distruttive, tali da integrare un vero e proprio delitto di disastro ambientale: si faccia l’esempio di chi per prelevare la predetta specie di corallo provochi la rottura e l’escissione del substrato roccioso, danneggiando l’habitat.

E’ notizia degli ultimi mesi di importanti azioni giudiziarie di repressione contro un’altra assai frequente pratica abusiva, ancor più dannosa per gli ecosistemi: la pesca dei datteri, talvolta posta in essere anche con l’uso di esplosivi.

Un foro di litodome su una scogliera. Nella prima età i litodomi si fissano mediante il bisso, più tardi si rendono liberi e scavano delle gallerie nelle rocce calcaree (foto di Antonio Toscano)

Il danno è tanto più significativo se si consideri che per il ripristino di condizioni analoghe a quelle distrutte dalle attività illegali di prelievo si stima una durata del ciclo vitale pari a 50 anni, in assenza di ulteriori abusive raccolte o altri fattori esogeni.

Si vuol concludere ricordando che il Sistema Nazionale di Protezione per l’Ambiente (www.snpambiente.it) – istituito con la legge n. 132 del 2016 ed il cui lavoro mira, tra i tanti obiettivi, anche al monitoraggio dello stato dell’ambiente ed al controllo delle fonti di inquinamento, con il supporto dell’ISPRA e delle Agenzie Regionali per la Protezione dell’Ambiente – di recente, nella seduta del 18.5.2021, ha elaborato delle interessanti linee guida per la valutazione tecnica del danno ambientale di cui tratta il Testo Unico del 2006 alla parte sesta.

Rappresentano un manuale di alta specializzazione, un faro per le azioni ministeriali dirette all’accertamento dei danni e delle minacce ambientali.

Tutto quanto descritto, testimonia senz’altro una più sviluppata sensibilità e coscienza delle Istituzioni verso le problematiche ambientali. Si spera nella concreta applicazione delle norme e nel controllo rigoroso del loro rispetto.

 

Avvocato Piervittorio Tione, Socio Ordinario di Assiea

(Associazione Italiana di Esperti Ambientali)

L’Avvocato Piervittorio Tione

IMMAGINE IN EVIDENZA: rifiuti abbandonati presso la spiaggia di Rovigliano a Torre Annunziata (foto del dic.2019 di Antonio Toscano)
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