Le falde freatiche possono rispondere a terremoti che si verificano a migliaia di chilometri di distanza.
In Italia Centrale, le variazioni dei livelli delle acque di falde freatiche potrebbero essere riconducibili a forti terremoti avvenuti in altri continenti.
Pubblicato sulla rivista Scientific Reports e affrontato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), il Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza e il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), lo studio fa luce sulla correlazione tra lo scatenarsi dei terremoti molto lontani dal nostro Paese e le variazioni dei livelli nelle falde freatiche.
Nella sismologia, un terremoto lontano, e cioè con distanza epicentrale molto grande, viene chiamato telesisma. Tra le onde prodotte dai terremoti, le onde di Rayleigh sono quelle che interessano principalmente tale studio e possono diffondersi a grandi distanze sulla superficie terrestre, producendo così perturbazioni idrogeologiche in risposta al loro passaggio. Queste onde, dette anche onde R, spostano le particelle secondo orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione.
“Ora che abbiamo individuato le perturbazioni causate dai terremoti lontani abbiamo uno strumento in più per distinguerle dai segnali precursori indotti dai sismi vicini”, afferma Carlo Doglioni della Sapienza e presidente INGV.
Dunque, rilevare variazioni della falda acquifera indotte da terremoti a distanza può portare verso una corretta identificazione dei cambiamenti idrogeologici (presismici) dovuti a terremoti più vicini.
Lo studio evidenzia il livello delle acque sotterranee, che è stato continuamente registrato in un pozzo di monitoraggio nel Centro Italia tra luglio 2014 e dicembre 2019 e che ha mostrato risposte evidenti allo stress dinamico crostale. In dettaglio, sono state osservate 18 forti variazioni del livello delle acque sotterranee dovute a terremoti di Mw ≥ 6,5 a livello mondiale.
Siamo vicini dunque ad una svolta nel campo delle previsioni dei terremoti?
È stata trovata una chiara correlazione tra la distanza del terremoto e la magnitudo nelle risposte idrogeologiche che conferma l’importanza di questi fattori nel controllo del comportamento delle acque sotterranee in un determinato sito, e non solo.
“La natura degli acquiferi – spiega Marco Petitta del Dipartimento di Scienze della Terra della Sapienza – gioca un ruolo sicuramente fondamentale nella risposta delle acque all’attività sismica. Contrariamente a quanto avviene per gli acquiferi porosi, gli acquiferi carbonatici intensamente fratturati, come quello da noi monitorato in Abruzzo, si rivelano molto più sensibili agli eventi deformativi. Proprio questo aspetto diventa essenziale nell’identificare un sito idrosensibile alla sismicità”.
Le risposte chimiche e fisiche delle acque sotterranee alla sismicità vengono documentate da migliaia di anni ma questa volta sembra che i risultati ottenuti possano fare da apripista per nuovi approcci nel campo dei monitoraggi idrogeologici applicati ai fini sismici.
Chissà che questo studio non sia un ulteriore balzo in avanti verso una interpretazione migliore dei segni premonitori che causano i terremoti che tanto hanno colpito il nostro Paese.