Terremoto del 23 novembre 1980, a quali domande rispondere dopo 41 anni

Oggi ricorre il quarantunesimo anniversario dal terremoto del 23 novembre 1980.

Alcune delle domande cui dovremmo cercare di rispondere…

 

 

  •  Cosa rimane oggi del terremoto dell’Irpinia del 1980?

A questa domanda si può rispondere: un tremendo dolore per i lutti e i danni immensi subiti; una opportunità di sviluppo per l’area colpita; una diseguale distribuzione delle risorse con deplorevoli comportamenti di vari amministratori e politici.

 

  • Quali sono i ricordi che noi abbiamo?

I ricordi… si, i tanti ricordi di chi all’epoca era adulto e quindi consapevole del dramma che l’Italia stava vivendo. Una grande, ma disorganizzata solidarietà ed una corsa per salvare vite umane ancora in pericolo.

 

  • Cosa si è ricostruito, oltre che fisicamente anche nella mente delle persone?

Si è ricostruita la speranza di tutte le popolazioni colpite che finalmente ci potesse essere compiutamente quello sviluppo economico e sociale assente dall’Unità d’Italia.

La delusione e il rammarico per le tante piccole aree industriali nate… e defunte nel volgere di pochi anni, con i cosiddetti “industriali” che hanno lucrato con soldi che dovevano giovare invece alla intera comunità!

 

  • Quali sono state le conoscenze scientifiche acquisite dopo questa terribile tragedia?

Da allora è cambiato l’approccio allo studio dei terremoti, con il riconoscimento e la cartografia delle faglie attive, con la installazione di una rete sismica di nuova generazione che si avvale delle tecnologie GPS satellitari e della rete cellulare per comunicazioni di eventi in tempo reale.

La Microzonazione Sismica si è rivelata poi fondamentale per la comprensione dei fenomeni ancora in essere e per lo sviluppo e/o il ripristino di insediamenti abitativi e industriali con parametri di sicurezza sconosciuti prima; la previsione dei terremoti – areale, non temporale – ha fatto in questo modo passi da gigante ponendo basi solide per il consolidamento ed il restauro del patrimonio edilizio esistente.

Il più delle volte le aree colpite sono di rilevanza storico-artistica o paesaggistica, quindi sono state oggetto di maggiori approfondimenti.

Ricorrono quarantuno anni dal tragico evento sismico che il 23 novembre 1980 colpì l’Irpinia, parte della Basilicata e della Campania, portando in pochi minuti la morte a circa 3000 persone per la distruzione di interi paesi.

Dopo di allora altri terremoti si sono succeduti nella penisola italiana, colpendo soprattutto il Centro Italia, particolarmente suscettibile a questi eventi essendo posizionata, come noto, al confine tra la placca africana e quella euro-asiatica, nel Promontorio africano.

Le cronache degli ultimi decenni si sono riempite quindi di copiose descrizioni e disquisizioni sugli eventi di volta in volta accaduti e che hanno molto spesso comportato di nuovo la perdita di molte vite umane e la distruzione, oltre che di abitazioni civili, anche di immensi patrimoni architettonici di cui il nostro Paese è ricco.

Gli anni trascorsi dal terremoto Irpino hanno consentito, pur con tempi lunghi e notevoli polemiche, la ricostruzione dei centri abitati distrutti e creato una positiva spinta per l’avvio di nuove attività industriali e commerciali nell’area erroneamente chiamata “del cratere”, ma oramai entrata nell’immaginario collettivo.

Purtroppo, come troppo spesso accade in Italia, esaurita la spinta emotiva ed economica del momento, il 90% di queste attività sono cessate, lasciando le classiche, tristi e inquinanti “cattedrali nel deserto”.

La lista dei terremoti noti in Italia è lunga mille anni per cui Non ci può essere alibi nel dire: io non sapevo; in pratica tutto il territorio, con piccole e circoscritte aree quali la Sardegna, il Salento o l’avampaese Ibleo, dovrebbe consigliare di costruire edifici o manufatti in tali zone, sempre e soltanto dopo un approfondito studio delle condizioni stratigrafiche ha locali, iniziando dalla microzonazione sismica che dà delle puntuali indicazioni di fattibilità.

È precipuo compito dei geologi fornire ai progettisti tali parametri, indispensabili per edificare un “edificio sicuro” ma – purtroppo – ciò accade di rado e quindi i disastri continuano e continueranno nel tempo.

Tutto questo accade perché il cittadino italiano ha la memoria corta che, mentre si poteva giustificare, se non capire, nei secoli scorsi quando le conoscenze geologiche non erano sviluppate e diffuse, oggigiorno diventa criminale ignorarle, troppo spesso per un proprio immediato tornaconto, infischiandosi del benessere delle future – anche prossime – generazioni.

 

IMMAGINE IN EVIDENZA: Trincea aperta alla base del versante che scende dalla cima della dorsale Monte Marzano-Monte Carpineta verso il Piano di Pecore. La scarpata di faglia del 1980 si trova nella parte alta dello scavo, in corrispondenza della faglia (in rosso) che pende verso la parte antistante e produce il ribassamento di questo settore (vedi movimento indicato dalle frecce). La faglia separa depositi massivi di pendio, di colore marrone chiaro, da depositi stratificati con intercalazioni organiche, in marrone scuro, livelli vulcanici grigi, e depositi di pendio. I livelli organici contengono frammenti di carbone e legno o sono ricchi in torba, e sono stati datati grazie al radiocarbonio presente in quantità significativa in questi materiali.

DA https://ingvterremoti.com/2020/11/24/terremoto80-il-terremoto-del-1980-in-irpinia-e-basilicata-e-la-nascita-degli-studi-di-geologia-del-terremoto-e-di-tettonica-attiva-in-italia/

Previous Post
Next Post