Si è tenuto nel corso della giornata del 27 novembre l’importante webinar promosso dalla SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) in collaborazione con Remtech e Consiglio Nazionale dei Geologi; al centro dell’incontro on-line l’impatto dei cambiamenti climatici nell’area mediterranea.
L’importanza della comunicazione ai cittadini, interventi strutturali e non strutturali, potenziamento dei sistemi d’allerta, difesa dal dissesto idrogeologico e difesa del suolo; c’è bisogno di grandi interventi.
Quali sono gli effetti che il cambiamento climatico produrrà sul territorio, sull’economia, sulla vita quotidiana di tutti noi?
Ebbene, la SIGEA (Società Italiana di Geologia Ambientale) ha proprio voluto fare chiarezza su questo, organizzando il seminario (rigorosamente on-line) dal titolo “Analisi ed effetti del cambiamento climatico in ambiente mediterraneo”.
Quattro i temi trattati:
– dissesto geo-idrologico;
– agricoltura, selvicoltura e zootecnia;
– quantità e qualità dell’acqua, salute e qualità della vita;
– patrimonio naturale e culturale, economia e turismo.
Ciò che emerge dalla lunga diretta e dopo i numerosi interventi è che, purtroppo, l’area del mediterraneo è fra quelle più colpite dalle conseguenze nefaste dei mutamenti climatici.
I dati presentati parlano chiaro, l’Italia, in particolare, da un punto di vista geologico, è un territorio fragile. Il numero di eventi calamitosi quali frane e alluvioni, sono aumentate in frequenza. Questo è imputabile sia ad un aumento dell’intensità e della localizzazione dei fenomeni meteorici sia da una cattiva gestione del territorio.
Insediamenti o manufatti incautamente edificati nei punti ad elevata pericolosità idrogeologica come aree golenali o tratti fluviali, errori e carenza di una programmazione territoriale e di manutenzione della vegetazione in alveo, uno sviluppo urbanistico scriteriato e un aumento della concentrazione di popolazione nelle città, portano a lungo andare ad aumento del rischio geologico in una determinata area.
Gli esperti ci dicono che non è una situazione omogenea in tutto il territorio nazionale, ma, piuttosto, è una situazione a “macchia di leopardo”, ovvero ci sono zone più colpite di altre: le aree montuose di certo più vulnerabili ai fenomeni gravitativi quali frane o colate di detrito, le aree pianeggianti sono più suscettibili ai fenomeni di esondazione e le aree costiere che fanno i conti con il pericolo dell’erosione e con l’aumento del livello del mare.
In particolare, abbiamo in Italia il 2,2% di popolazione a rischio frane e il 10,4% che abita in zone a rischio alluvione (rapporto ISPRA 2018). Su una superficie nazionale di 302.066 km2, il 16,6% è mappato nelle classi a maggiore pericolosità (50.117 km2).
Fenomeni come ondate di calore e gli allagamenti, la perdita di comfort, eventi estremi causano ripercussioni negative anche sulla sicurezza alimentare, sulla salute umana oltre a modificare gli ecosistemi naturali; ovviamente anche il settore turistico sarà toccato direttamente e non da ultimo le migrazioni di popoli che diventeranno sempre più frequenti e cospicue.
Durante l’incontro è emerso l’importanza della ricerca.
Fare ricerca è estremamente importante perché ci permette di “predire” il futuro attraverso gli scenari. È un’arma indispensabile per pianificare al meglio un adattamento e creare resilienza per il futuro.
Maggior sicurezza alimentare per rispondere alle esigenze di una popolazione che arriverà ai 9 miliardi entro il 2050, agricoltura sostenibile, tutela delle zone rurali e mantenimento delle economie agricole, lotta alla desertificazione e lotta al consumo di suolo, ridurre il rischio di contaminazione delle matrici ambientali e lotta all’inquinamento, preservazione della qualità delle acque, evitare di pianificare o incrementare infrastrutture in aree ad elevata criticità idrogeologica.
Questi fra i principi generali che si devono attuare.
Molto importanti sono gli interventi “non strutturali” che operano sul danno atteso, offrendo efficienza e sostenibilità anche a breve termine, prevedendo la partecipazione attiva dei cittadini.
Sono necessarie quindi grandi misure di adattamento, ovvero misure volte a ridurre la vulnerabilità degli impatti negativi del cambiamento climatico, pensiamo ad esempio alle “pluvial flooding”, alluvioni determinate da intense piogge in ambito urbano, ormai diventate molto frequenti nell’ultimo periodo, ecco quindi che c’è necessità e urgenza di incrementare o migliorare il sistema di drenaggio delle acque, diminuendo così il fattore rischio.
La creazione dei presidi territoriali è un’altra soluzione:
un gruppo di professionisti qualificati che ha l’obbiettivo di delineare in “tempo di pace” gli scenari di evento e di rischio e di osservare l’evoluzione di un fenomeno, segnalando le criticità che compromettono la pubblica incolumità.
È evidente che in futuro ci saranno dei cambiamenti, la sfida che abbiamo di fronte e quella di ridurre l’entità di questi, o meglio, ridurne il danno e gli effetti che ci apporteranno.
Possiamo scegliere se continuare così come se niente fosse ed arrivare ad un aumento medio delle temperature globali di 5-6 °C, oppure, se faremo dei sacrifici, possiamo contenere l’aumento entro i 2°C nei prossimi decenni.
Quest’ultimo scenario comporterebbe un adattamento migliore e più semplice, ma comporta un cambiamento radicale nella vita di ognuno di noi e del paradigma economico che certamente non potrà più essere basato su un tipo di consumismo folle.
Ancora una volta si ribadisce il concetto di cultura geologica, quale ruolo cardine per la tutela ambientale, è necessaria e indispensabile per la formazione delle coscienze in senso ambientale delle future generazioni.
Il geologo è una figura importante perché può dare il suo valido supporto sia per la componente energetica, basti pensare alle energie alternative come la geotermia a bassa entalpia, sia nel delineare le azioni di mitigazione e adattamento climatico, specialmente riguardo le componenti suolo e acqua.
Un importante messaggio, quasi una costante di tutto il seminario si può dire, è stato il concetto di informazione.
Viviamo in un periodo in cui la corretta informazione è spesso attaccata e minacciata da fonti non autorevoli, quello che viene chiamata infodemia, e ciò sta diventando un pericolo, dobbiamo ritrovare fiducia nella scienza e condannare chi con ogni mezzo ci vuole propinare le false verità e fake news. Informatevi, fatelo…ma fatelo bene!