Il terremoto in Irpinia del 23 novembre 1980

Oggi ricade l’anniversario del terremoto in Irpinia del 1980 (magnitudo 6.9 – massima intensità X della scala MCS). In 37 anni tante cose sono cambiate sotto l’aspetto della conoscenza dei terremoti, ma la prevenzione?

Distribuzione degli effetti prodotti dal terremoto del 1980. L’area di danneggiamento si estende per quasi tutto il territorio campano, in Basilicata e in Puglia (Fonte: DBMI11). I comuni classificati con intensità MCS ≥ 6 sono 422, la maggior parte dei quali (303) in Campania, 55 in Basilicata e i restanti in Puglia e Molise. Sono 6 i comuni con intensità MCS pari a 10, nelle province di Avellino e Salerno e 9 i comuni con intensità MCS pari a 9 in provincia di Avellino.

FIG.1, Distribuzione degli effetti prodotti dal terremoto del 1980. L’area di danneggiamento si estende per quasi tutto il territorio campano, in Basilicata e in Puglia (Fonte: DBMI11). I comuni classificati con intensità MCS ≥ 6 sono 422, la maggior parte dei quali (303) in Campania, 55 in Basilicata e i restanti in Puglia e Molise. Sono 6 i comuni con intensità MCS pari a 10, nelle province di Avellino e Salerno e 9 i comuni con intensità MCS pari a 9 in provincia di Avellino. (DA INGV)

Oggi è il trentasettesimo anniversario del terremoto dell’Irpinia, il sisma che si verificò il 23 novembre del 1980 che colpì la Campania centrale e la Basilicata, caratterizzato da una magnitudo 6,9 della scala Richter e massima intensità X della scala MCS.

L’epicentro fu individuato nel comune di Conza della Campania, in provincia di Avellino; il terremoto causò 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Un terremoto spaventoso, quindi, un terremoto i cui effetti vennero prodotti in quasi tutta la Campania, Basilicata e Puglia (vedi figura 1 da INGV).

Il terremoto del 1980 è stato considerato come il sisma che ha dato inizio alla paleo-sismologia in Italia, in quanto negli anni ’80 e ’90 ci furono molti contrasti tra geologi e sismologi per spiegare l’evento.

Dopo l’evento, i dati sismologici indicavano un movimento della faglia, responsabile del terremoto, di tipo “estensionale” o “normale” (vedi figura 2); fu in questo modo che si capì che l’Italia centro-meridionale si stava ”stirando” dal Tirreno verso l’Adriatico. Ma questo fenomeno andava fortemente in contrasto con le conoscenze geologiche dell’epoca le quali sostenevano che l’Appennino fosse una catena a pieghe e faglie, nata da un processo di compressione crostale.

FIG.2, Scarpata di faglia del terremoto dell’Irpinia del 1980 sul monte Carpineta, il rigetto verticale raggiunse 120 cm.

FIG.2, Scarpata di faglia del terremoto dell’Irpinia del 1980 sul monte Carpineta, il rigetto verticale raggiunse 120 cm.

I terremoti di Gubbio e Abruzzo nel 1984, Umbria-Marche nel 1997, L’Aquila nel 2009 e soprattutto gli ultimi del Centro Italia, hanno confermato che il processo in atto è prevalentemente di tipo ”estensionale” della penisola nella direzione nordest-sudovest.

Ma con il terremoto del 1980 si iniziò a capire anche la complessità del fenomeno della fagliazione. Si capì infatti che l’evento non fu unico a rompere la crosta, ma almeno tre eventi minori avvenuti in un solo minuto. Infatti il sisma del 1980 fu causato da tre terremoti di magnitudo compresa da 6.4 a 6.6, per un totale pari a 6.9, verificati nell’arco di 40 secondi nella stessa zona.

Negli ultimi anni, sismologi e geologi hanno capito che la maggior parte dei terremoti si sviluppano in modo analogo, anche se le differenze in tempo tra “sub-eventi” possono essere di ore, giorni, mesi o anni. In centro Italia sono trascorsi quasi due mesi, dal 24 Agosto al 30 ottobre 2016,  in Umbria e Marche nel 1997 passarono 9 ore tra la prima e la seconda scossa forte, in Friuli nel 1976 alcuni mesi, in Abruzzo nel 1984 quattro giorni (7 e 11 maggio).

La sismologia, sta andando avanti, come si vede, ma purtroppo le zone dove si originano i terremoti sono inaccessibili agli strumenti e i geologi sismologi possiamo solo studiare il processo da lontano. Ciò che conta ed importante, adesso, è solo fare una buona prevenzione che deve partire prima di tutto dalla pianificazione urbanistica comunale.

In Campania, finalmente, sembrerebbe stiano ripartendo gli studi di Microzonazione Sismica, fermi da anni. I comuni potranno pianificare il loro territorio capendo quali sono le aree presenti sul loro territorio con  maggiore o minore pericolosità, perchè, ad oggi, questo è il solo modo per difenderci da un terremoto.

IMMAGINE IN EVIDENZA: PRIMA PAGINA de ”Il mattino” di Napoli, tre giorni dopo il terremoto del 23 novembre 1980.

Previous Post
Next Post