Con il terremoto verificatosi in Emilia nel 2012, sono stati centinaia i vulcani di sabbia e fango che si sono formati soprattutto nei Comuni di San Carlo di Sant’Agostino in Provincia di Ferrara e di San Felice in Provincia di Modena.
Caratterizzati da un diametro di circa un metro e disposti uno di seguito all’altro per 50-100 metri, lungo una frattura sismica, si sono formati in seguito al fenomeno della liquefazione della sabbia che avviene nel sottosuolo, sotto la spinta di forti pressioni (vedi Figg. 1).
Ma cerchiamo di capire cosa succede, durante un terremoto, quando le “sabbie si liquefano”.
Il fenomeno interessa terreni prevalentemente sabbiosi sciolti e saturi d’acqua quindi, per comprenderlo meglio, occorre immaginare il terreno come un insieme di particelle tenute insieme da forze dalla cui entità dipendono la resistenza del mezzo.
Quando si verifica un terremoto, le sabbie vengono investite dalle onde sismiche e le singole particelle cominciano a vibrare attorno ad una loro posizione di equilibrio facendo in modo che queste si avvicinano e si allontanano reciprocamente un’innumerevole quantità di volte. A causa di questi movimenti reciproci, gli spazi intergranulari vanno via via aumentando, permettendo all’acqua di falda sottostante di salire e saturarli, quindi di allontanare reciprocamente queste particelle.
In definitiva avviene che le sabbie, che all’inizio erano asciutte, dopo essere state attraversate dalle onde sismiche, diventano sature d’acqua e quindi liquefatte.
In ogni caso, qualunque sia la sua natura, le condizioni necessarie per fare verificare la liquefazione, in condizioni sismiche, sono che il terreno diventi saturo d’acqua e che il livello delle deformazioni indotte dal terremoto sia elevato.
Per questo motivo, casi di liquefazione in passato si sono sempre osservati in vicinanza di fiumi, specchi d’acqua, naturali o artificiali e nelle zone costiere.
La liquefazione può indurre nel sottosuolo deformazioni talmente elevate che i manufatti su cui poggiano tendono addirittura a sprofondare, intatti, nel terreno.
È infatti frequente osservare immagini di edifici che, pur conservando un’apparente integrità strutturale, si sono pericolosamente inclinati o addirittura completamente “adagiati” sul piano campagna (vedi Fig.2).
La liquefazione non è, quindi, un fenomeno del tutto sconosciuto, essa è stata spesso una delle principali cause di danneggiamento per le costruzioni sollecitate da azioni sismiche e purtroppo anche causa di notevoli danni ad edifici durante il sisma in Emilia del 2012 (vedi Fig.3).
In Italia le evidenze ben documentate di fenomeni di liquefazione prodotti da terremoti recenti sono comunque limitate. A titolo informativo si riporta la Fig.4, tratta dallo studio di Galli (2000) nella quale vengono indicate le localizzazioni dei siti ove, secondo l’Autore risultano essersi manifestati in Italia fenomeni di liquefazione.
Il numero relativamente limitato degli eventi è attribuibile al contenuto energetico relativamente limitato dei terremoti italiani ed alla scarsa suscettività delle formazioni presenti nei pressi delle principali sorgenti sismogenetiche (aree epicentrali) in quanto è raro avere terreni soggetti a liquefazione in zone vicine a catene montuose rocciose caratterizzate da strutture geologiche che generano terremoti.
Il caso della Pianura Padana rientra in questa eccezione in quanto le strutture sepolte sotto di essa, a pochi chilometri di profondità, appartengono proprio all’Appennino che tende a deformarsi ed accavallarsi, sopra la crosta o placca europea, generando terremoti che provocano liquefazioni in superficie nei terreni sabbiosi.
Sotto l’aspetto normativo, oramai sono quasi sette anni (dal 1 luglio 2009) che sono in vigore le nuove Norme Tecniche per le Costruzioni approvate con il D.M. del 14 gennaio 2008.
Il paragrafo 7.11.3.4 del suddetto Decreto Ministeriale, intitolato STABILITA’ NEI CONFRONTI DELLA LIQUEFAZIONE, obbliga ad eseguire puntuali verifiche alla liquefazione dei terreni sul “sito presso il quale è ubicato il manufatto” il quale “deve essere stabile nei confronti della liquefazione, intendendo con tale termine quei fenomeni associati alla perdita di resistenza al taglio o ad accumulo di deformazioni plastiche in terreni saturi, prevalentemente sabbiosi, sollecitati da azioni cicliche e dinamiche che agiscono in condizioni non drenate. Se il terreno risulta suscettibile di liquefazione e gli effetti conseguenti appaiono tali da influire sulle condizioni di stabilità di pendii o manufatti, occorre procedere ad interventi di consolidamento del terreno e/o trasferire il carico a strati di terreno non suscettibili di liquefazione.”
Ci viene da domandarci: benissimo, abbiamo una Normativa che obbliga i progettisti a verificare, prima di costruire qualsiasi opera, se un terreno è soggetto o meno al fenomeno della liquefazione ed eventualmente a procedere con interventi di consolidamento, quindi, diffondiamola e soprattutto applichiamola sempre dicendo basta alle solite superficialità che mettono in gioco vite umane.