La storia del Tribunale delle Acque, istituito oltre cento anni fa, che giudica in materia di governo delle acque pubbliche.
Quali sono le principali caratteristiche dei processi che si svolgono innanzi al Giudice delle Acque, ponendo in luce le positive differenze che intercorrono con i giudizi ordinari.
Più che tentare improvvidamente di abolire i Tribunali Regionali delle Acque, non occorrerebbe invece potenziarli alla luce dei recenti disastri ambientali che oramai sferzano l’Italia?
di Piervittorio Tione
Avvocato, esperto in diritto ambientale
C’è un Tribunale, di cui forse si parla poco e delle volte anche male (visti gli inutili tentativi del Legislatore di abolirlo come avvenne nel 2002 con il D.L. n. 251, per fortuna, mai convertito), che svolge, nel silenzio mediatico di tv e giornali, un enorme, delicato ed attento lavoro di accertamento di responsabilità degli Enti e di tutela dei diritti dei cittadini, coinvolti, ahimè, troppo spesso, negli ultimi decenni, in eventi disastrosi di allagamento da esondazione di canali, torrenti e fiumi.
Parliamo del Tribunale delle Acque, istituito oltre cento anni fa, che è competente in materia di governo delle acque pubbliche.
Prima di descrivere il procedimento che si svolge innanzi al Giudice delle Acque, evidenziandone le note positive, interessante è ripercorrerne, brevemente, la storia e le competenze.
Quest’ufficio giudiziario nacque come magistratura speciale nel 1916 (cfr. D.L.L. n. 1644 del 1916), con competenza, in un unico grado, per le questioni in tema di utilizzazioni di acque pubbliche, di demanialità delle acque e per le impugnazioni dei provvedimenti della P.A. in tali materie.
Si occupava sia di diritti soggettivi che di interessi legittimi. Le critiche erano molteplici sia per la sua unica sede a Roma sia per la previsione di un unico grado di giurisdizione.
Così nel 1919 con il R.D. n. 2161 vennero istituiti otto Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche, intesi non più come giudici speciali, ma come sezioni specializzate della magistratura ordinaria, costituiti presso le Corti di Appello di alcune città capoluoghi di Regione e competenti a decidere sui diritti soggettivi.
Più in dettaglio, questa la suddivisione territoriale ed operativa (ancora vigente) dei TRAP, oggi più agevoli da adire:
1) Torino, per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Torino e Genova;
2) Milano, per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Milano e Brescia;
3) Venezia, per le circoscrizioni di Venezia, Trento, e Trieste;
4) Firenze, per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Bologna e Firenze;
5) Roma, per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Roma, Aquila, Perugia ed Ancona;
6) Napoli, per le Circoscrizioni delle Corti di Appello di Napoli, Bari, Lecce, Potenza, Salerno, Campobasso e Catanzaro;
7) Palermo, per le circoscrizioni delle Corti di Appello di Palermo, Caltanissetta, Catania e Messina;
8) Cagliari, per la circoscrizione della Corte di Appello di Cagliari.
Il nuovo assetto venne poi recepito anche dal R.D. n. 1775 del 1933, conosciuto come Testo Unico sulle acque ed impianti elettrici, che ha introdotto un doppio binario di tutela:
- ai Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche è attribuita, sempre nella materia del governo delle acque pubbliche, la difesa dei cd. diritti soggettivi in primo grado (con possibilità di ricorrere in secondo grado al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, con funzione di giudice di appello);
- al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche (con sede presso la Corte di Cassazione a Roma), in un’unica istanza, invece, sono invece assegnate le questioni aventi ad oggetto gli interessi legittimi.
Da menzionare poi anche la particolare composizione dei collegi:
i Tribunali Regionali delle Acque Pubbliche giudicano (art. 142 secondo comma T.U. Acque) con l’intervento di due magistrati ed un giudice tecnico, un tempo scelto nella persona di un funzionario del Genio Civile, oggi, dopo l’intervento della Corte Costituzionale che dichiarò incostituzionale gli artt. 139 e 143 del T.U. del 1933, individuato in un libero professionista iscritto all’Albo degli Ingegneri.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, ai sensi dell’art. 143 comma terzo T.U. Acque, è invece composto:
I) come giudice dei gravami proposti avverso le sentenze dei TRAP, da cinque membri: tre magistrati di cassazione, un Consigliere di Sato ed un giudice tecnico;
II) come giudice speciale amministrativo, in unico grado, da sette votanti, di cui tre Consiglieri di cassazione, tre Consiglieri di Stato ed un giudice tecnico.
Nel descrivere meglio le materie di cui si occupa il Giudice delle Acque, possiamo precisare che al Tribunale Regionale appartengono:
a) le controversie in tema di demanialità delle acque, di limiti dei corsi o bacini, loro alvei e sponde;
b) liti aventi ad oggetto qualunque diritto relativo alle derivazioni ed utilizzazioni di acque pubbliche o le indennità da corrispondere in conseguenza dell’esecuzione e manutenzione di opere idrauliche, di bonifica, di derivazione ed utilizzazione delle acque;
c) i giudizi di risarcimento dei danni dipendenti da qualunque opera eseguita dalla pubblica amministrazione (sempre in materia di acque pubbliche), i ricorsi previsti dagli articoli 25 e 29 del T.U. sulla pesca approvato con regio decreto n. 1604 del 1931.
Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche invece è titolare, come già riferito, del potere di cognizione in grado di appello per i gravami proposti avverso le pronunce di primo grado dei TRAP, ma è anche Giudice Speciale Amministrativo (per gli interessi legittimi) in tema di ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere e violazione di legge contro i provvedimenti definitivi presi dalle amministrazioni sempre in materia di acque pubbliche.
Sia il TRAP che il TSAP hanno poi competenza anche per le liti relative alle acque pubbliche sotterranee.
Nonostante ci siano norme che sembrano definire con chiarezza i confini di operatività del Giudice delle Acque, non di rado, però sorgono conflitti di competenza (e giurisdizione) tra i Tribunali delle Acque, i Giudici Ordinari ed i Giudici Amministrativi.
E, per l’avvocato, non è per nulla semplice scegliere la strada da percorrere per assicurare la tutela dei diritti al proprio assistito.
Questioni che poi vengono risolte dalla Corte di Cassazione all’esito di specifici procedimenti noti come regolamento di giurisdizione e competenza.
Un esempio interessante e recente di incertezza tra titolarità di giurisdizione dei TRAP o dei TAR si è avuto con i limiti imposti, per via provvedimentale, allo scarico dei PFAS (sostanze perfluoroalchiliche, rilevate per lo più nelle acque delle Provincie di Padova e Vicenza).
In altre parole, ci si è chiesto se i provvedimenti amministrativi (es. autorizzazione integrata ambientale, cd. AIA) contenenti limiti e prescrizioni per lo scarico dei PFAS nelle acque pubbliche debbano essere scrutinati dai Tribunali Amministravi o dal Tribunale Superiore delle Acque.
Dopo varie pronunce dei Giudici di primo grado, non di rado tra loro difformi, da ultimo la Cassazione Civile a Sezioni Unite, con l’ordinanza n. 18976 del 2017, sembra aver, sul tema dei limiti imponibili agli scarichi dei PFAS, fatto chiarezza.
Le liti, in tali materie, sono devolute alla giurisdizione del Giudice Amministrativo in quanto non è in gioco il regime delle acque, non inciso direttamente, ma in primo piano emerge la tutela di altri beni della vita: la salute pubblica e la qualità delle acque.
Allo stesso modo, non raramente, sono sorti problemi di competenza per materia tra il Giudice delle Acque e i Tribunali Ordinari (entrambe Magistrature Ordinarie), soprattutto nelle azioni risarcitorie avviate per chiedere i danni da esondazioni di canali, fiumi e torrenti o da tracimazione di sistemi fognari.
Anche in questi casi la salvifica Cassazione, ultimamente adita dallo scrivente per dirimere un conflitto di competenza per danni agricoli da esplosione di un collettore fognario, ha stabilito che sono devolute alla cognizione dei Giudici Ordinari tutte quelle controversie aventi ad oggetto pretese risarcitorie ove si denunciano esclusivamente condotte di negligenza delle PPAA, collegate solo indirettamente ed occasionalmente alle vicende relative al governo delle acque, e non è in discussione la legittimità dell’operato della Pubblica Amministrazione.
In altri termini, si dovrà adire il Tribunale Specializzato quando non viene censurato un mero comportamento di incuria (per lo più colposo) nella gestione di un’opera idraulica (che non è un fiume), ma viene criticato uno specifico atto di scelta di governo delle acque pubbliche.
Così come sono sempre affidate al Tribunale Ordinario le liti aventi ad oggetto danni derivanti dai liquami neri di un sistema fognario, atteso che le acque convogliate nelle tubazioni pubbliche di smaltimento non hanno l’attitudine ad un uso generale pubblico, cioè non posso essere utilizzate, come le acque di un canale, dai cittadini, ad esempio, per irrigare.
Si leggano sul punto le seguenti pronunce della Suprema Corte: ordinanza n. 27207 del 2020 e 524 del 2022.
Narrati i cenni storici, descritte le competenze, possiamo ora, sinteticamente, indicare le principali caratteristiche dei processi che si svolgono innanzi al Giudice delle Acque, ponendo in luce le positive differenze che intercorrono con i giudizi ordinari.
Il procedimento innanzi ai TRAP per chiedere i danni per straripamento di un fiume o di un canale (non ben manutenuti) si introduce con un atto notoriamente detto ricorso/citazione, in quanto ha sì la forma di un ricorso, ma contiene, al suo interno, anche la “vocatio in ius”, cioè la evocazione in giudizio della controparte con indicazione dell’udienza in cui presentarsi in Tribunale.
L’art. 155 del T.U. sulle acque prevede un termine a comparire non inferiore a venti giorni (trenta, se il convenuto risiede all’estero); dopo la notifica del ricorso/citazione è possibile iscrivere la causa a ruolo fino a cinque prima del termine indicato (cioè prima udienza fissata dal legale).
Già da queste prime battute è possibile intuire quanto il processo innanzi al Giudice Specializzato sia molto più spedito, poco formale e non soggetto a pressanti decadenze:
- più celere rispetto ai processi che si celebrano innanzi ai Tribunali Ordinari, ove il termine a comparire è di almeno 90 giorni contro i 20 del TRAP (dunque non si può far iniziare un processo se non decorrono almeno tre mesi dalla notifica dell’atto introduttivo);
- semplice e meno formale in quanto non si è tenuti ad iscrivere a ruolo (cioè depositare il ricorso notificato con i propri documenti presso l’Ufficio Giudiziario prescelto) entro il perentorio termine di dieci giorni dalla notifica dell’atto introduttivo per i processi ordinari, contro i cinque decorrenti a ritroso dalla data di comparizione del procedimento innanzi al TRAP, pena l’improcedibilità della domanda.
Ma, probabilmente, il momento processuale del giudizio innanzi ai TRAP che più rivela la sua speditezza, la sua efficienza ed il suo obiettivo di realizzare la cd. giustizia sostanziale, mirando al merito della domanda, è la fase istruttoria.
Non esistono, come invece è previsto per i giudizi civili ordinari, termini per articolare i mezzi di prova, che inevitabilmente prolungano la durata del processo.
Il Giudice delle Acque, su richiesta delle parti, in udienza con ordinanza ammette o meno la prova testimoniale e la richiesta di nomina di un consulente tecnico di ufficio.
La prova testimoniale può essere ordinata anche d’ufficio dal Giudice. Tutte disposizioni che vogliono assicurare al processo innanzi al Tribunale delle Acque la maggior celerità possibile, essendo in gioco, per la tipologia di danni richiesti, anche un interesse pubblico, atteso che negli eventi di allagamento spesso i responsabili dei disastri sono proprio le Amministrazioni Statali e/o Regionali.
Degna di nota è la norma di cui all’art. 167 del T.U. delle Acque, che consente al Giudice delle Acque (delegato) di compiere, in prima persona, accertamenti tecnici sui luoghi di causa, facendosi assistere dal componente tecnico del collegio. E, nel corso di quei sopralluoghi, senza alcuna formalità, potrà individuare ed interrogare testimoni, le cui dichiarazione saranno chiaramente verbalizzate.
Insomma, notiamo che il Giudice delle Acque può svolgere anche una funzione di pubblico ministero, eseguendo sopralluoghi e sentendo persone presenti sui luoghi del disastro.
Attività, questa, inimmaginabile per un Giudice del Tribunale Ordinario. Il processo innanzi ai Tribunali delle Acque aggiunge così al suo tipico carattere dispositivo, anche un aspetto inquisitorio.
La stessa consulenza tecnica di ufficio, dovendo il processo sempre mirare a soddisfare le esigenze di giustizia del cittadino ed essendo necessarie particolari conoscenze tecniche per ricostruire le cause di un’esondazione o di una frana, costituisce una vera fonte di prova.
Non è recepibile innanzi ai TRAP l’eccezione, quasi sempre sollevata dalle controparti nei processi ordinari, secondo cui i danneggiati non potrebbero avvalersi della CTU per supplire ad eventuali carenze probatorie.
Anche nella fase decisoria del giudizio davanti al Giudice Specializzato, assistiamo, con ammirazione, ancorché trattasi di un testo di legge scritto nel 1933, alla volontà di esser celeri:
non vi sono termini da concedere alle parti per l’esposizione scritta delle proprie conclusioni, come invece avviene nei giudizi ordinari (si veda l’art. 190 C.p.c.), ma, tutt’al più, è possibile depositare memorie conclusive sette giorni prima della discussione innanzi al Collegio, cui viene rimessa la causa dal Giudice delegato a conclusione dell’istruttoria.
Lo stesso termine per impugnare le sentenze dei Tribunali Regionali delle Acque innanzi al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche è di soli trenta giorni.
Non vi è distinzione, come per le sentenze emanate dal Tribunali Ordinari, tra termine lungo (sei mesi dalla pubblicazione) per proporre un appello o termine breve (trenta giorni dalla notificazione operata dalla controparte).
Le sentenze del Tribunale Superiore delle Acque, ora come giudice del gravame ora come giudice speciale amministrativo, giova ricordarlo, possono essere impugnate, nei limiti di cui agli artt. 200, 201 e 202 del T.U. delle Acque, davanti alla Corte di Cassazione, che giudicherà a Sezioni Unite.
A conclusione, sia consentita la seguente osservazione: visto che dalla lettura di pochi articoli del regio decreto del 1933 n. 1775 si comprende subito che il processo innanzi ai Giudici Specializzati è davvero un modello da esportate in quanto celere, poco formale, poco farraginoso e, soprattutto, mira al soddisfacimento reale dell’esigenza di giustizia,
bisognerebbe allora chiedersi se, più che tentare, improvvidamente e con miopia pura, di abolire i Tribunali Regionali delle Acque,
non occorrerebbe invece potenziarli, forse aumentarne il numero, e ciò anche alla luce dei recenti disastri ambientali che oramai sferzano l’Italia da nord a sud ed in tutte le stagioni dell’anno, con conseguenze spesso distruttive sia per i cittadini che per l’economia nazionale.