C’è un museo che conserva da tempo delle curiose rocce antropomorfe di arenaria che prendono il nome di Botroidi.
Queste particolarissime forme artistiche delle rocce arenacee si formano in casi particolari, e qualcuno negli anni si è assunto il compito di studiarli e collezionarli proprio qui in Italia.
Luigi Fantini, uno dei pionieri della speleologia, agli inizi del ‘900 collezionava queste rocce che raccoglieva lungo il fiume Zena, nel medio Appennino bolognese e lungo l’omonima Val di Zena.
Ma cosa sono esattamente i Botroidi?
Questa parola in realtà accomuna tutta una serie di forme che hanno un aspetto simile ad un grappolo. Sono delle concrezioni che si trovano nelle rocce clastiche pelitiche e finemente sabbiose. Essi si formano per circolazione subacquea e capillare di acque ricche principalmente in carbonato di calcio che si deposita all’interno degli interstizi dei sedimenti e diagenizza con essi. I campioni appartenenti al museo hanno un’età pliocenica e miocenica.
I botroidi si sono formati nelle così dette sabbie gialle che un tempo (0.8 milioni di anni fa circa) rappresentavano l’ultima spiaggia di mare quaternario.
Ancora oggi la Val di Zena permette di scoprire scenari aperti incontaminati, con la presenza di piccoli borghi antichi come il borgo Tazzola. Ed è proprio qui che Lamberto Monti e Giuseppe Rivalta hanno creato questo originale percorso espositivo; un piccolo spazio che conserva e promuove la più grande collezione di botroidi al mondo. Oltre a questi bizzarri conglomerati il museo racchiude 60 milioni di anni, raccontando con minerali e fossili la storia geologica della Val di Zena.
La particolarità del museo è la completa assenza di vetrine e barriere, il primo cartello che si incontra è “Si invita a toccare”.
Un percorso geologico che, attraverso colore, tatto e odore dove ci fa conoscere la storia del nostro pianeta in modo diverso, diretto e coinvolgente.