Il 13 agosto del 1868 nasceva a Voghera (Pavia) il fondatore della sismologia storica.
Mario Baratta è una figura di primissimo piano del panorama scientifico italiano di fine ottocento e inizi novecento. Egli nacque il 13 agosto 1868 a Voghera, in provincia di Pavia, dove frequentò gli studi secondari. Seguì l’università, prima presso l’ateneo di Torino, poi fino alla laurea nel 1890 in quello di Pavia, dove ebbe come maestro Torquato Taramelli[1]. I suoi primi studi furono condotti poco dopo i vent’anni, indirizzati verso i terremoti italiani, effettuando in particolare un approccio storico, dando così vita ad una branca della geofisica: la sismologia storica. Tra il 1 gennaio 1892 e il giugno 1896 è assistente dell’ufficio centrale di meteorologia e geodinamica di Roma. Ritorna a Voghera dove si dedica quasi esclusivamente agli studi e nel 1903 consegue la libera docenza di geografia fisica.
Il 28 dicembre 1908 uno dei terremoti più violenti nella storia sismica italiana interessa la parte meridionale della Calabria e la provincia di Messina. Baratta studia approfonditamente l’evento, recandosi più volte sul luogo del disastro, raccogliendo tutte le osservazioni nel volume La catastrofe sismica calabro-messinese edito due anni dopo. Già l’11 gennaio 1909, pochi giorni dopo il terremoto, il quotidiano nazionale La Stampa annuncia la missione scientifica di Baratta, dove si legge: «Una missione sismologica a Messina. Roma, 10, ore 20. È partito per Messina in missione speciale della Società Geografica Italiana col permesso del ministro degli interni e con commendatizia del ministro della marina, il dottor Mario Baratta, sismologo insigne ed autore di studi pregevolissimi sui fenomeni sismologici in Italia e della storia sismologica del nostro paese. Il dottor Baratta eseguirà uno studio completo dei fenomeni visitando le regioni devastate e rilevando le aree sismologiche pericolose, indicando in pari tempo i provvedimenti da adottare per rendere meno funeste in avvenire le conseguenze di simili convulsioni telluriche. La Società Geografica a missione compiuta farà in proposito una pubblicazione speciale»[2].
Qualche anno dopo, nel 1911, vinse il concorso per la docenza di geografia nell’università di Pavia. Interventista durante il primo conflitto mondiale, in questo periodo iniziò ad interessarsi anche di politica, abbracciando le idee mazziniane. Fu tra i primi ad aderire al fascismo e nel 1921 fu candidato assieme a Mussolini nel blocco nazionale della Lombardia. Nel 1922 fu eletto preside della facoltà di lettere e filosofia, incarico mantenuto fino alla morte, nella stessa università di Pavia.
Dal 1923 fu anche presidente del Consiglio Provinciale di Pavia, dove l’anno successivo celebrò il secondo anniversario della Marcia su Roma.
Diresse dal 1919 al 1929 la rivista La geografia, edita dall’Istituto geografico De Agostino di Novara. Per la stessa case editrice curò il Grande atlante geografico De Agostini[3].
Morì il 4 settembre 1935 a Casteggio (Pavia). Sul quotidiano nazionale La Stampa fu pubblicato il 6 settembre il necrologio, il quale invece indica erroneamente come luogo di morte la città natale di Voghera. In esso, infatti, si legge: «Da Voghera. È deceduto nella nostra città il prof. Comm. Mario Baratta, titolare di geografia presso la R. Università di Pavia e membro di varie accademie italiane e straniere. Il prof. Baratta aveva ricoperto varie cariche pubbliche tra cui quella di presidente del Consiglio provinciale e per lunghi anni. Aderì al fascismo fin dalla fondazione e lascia pregevoli pubblicazioni interessanti particolarmente i movimenti tellurici della nostra penisola»[4]. Tuttavia nel necrologio della Società Sismologica Italia è indicato Casteggio come luogo del decesso: «Il 4 settembre 1935 si è spento a Casteggio l’illustre sismologo Prof. Mario Baratta, professore ordinario di Geografia della R. Università di Pavia e socio della nostra Società sin dalla fondazione».
Principali studi scientifici
Studi sismologici
Sono numerosi gli studi di Baratta rivolti alla sismologia, tuttavia in questa sede si citano le ricerche di maggior rilievo. Seguendo un ordine cronologico, uno dei primi terremoti al quale Baratta rivolse una particolare attenzione è quello del 1894[5]. È il primo di una serie sismica, che infine sfocerà con il grande sisma del 1908, che coinvolse la parte meridionale della Calabria e parte della Sicilia. Tuttavia, come nota Baratta, la regione è stata anche nel passato soggetta a violenti terremoti. Riguardo a ciò nella parte iniziale della relazione traccia un sunto degli eventi ed effetti che ha avuto il terremoto del 1783, uno dei più violenti della storia sismica italiana. Una particolare attenzione è posta dall’autore agli studi che furono compiuti in seguito al sisma del 1783. Michele Torcia è menzionato per le osservazioni ed esperimenti che compì sul campo. Il sisma del 1894 ebbe una prima manifestazione alle 6 di mattina del 16 novembre con una modesta scossa. Tuttavia l’evento sismico principale avvenne solo dopo circa 12 ore, alle 18,50 del pomeriggio. L’epicentro fu localizzato nella costa occidentale della Calabria meridionale coinvolgendo i centri di Bagnara, Palmi e Scilla. Confrontando l’ora di registrazione del terremoto nei vari osservatori sismici italiani, poté calcolare la velocità di propagazione delle onde sismiche a circa tre chilometri al secondo. Il sismologo vogherese scarta l’ipotesi che il sisma sia correlato all’attività vulcanica dello Stromboli e dell’Etna; egli, infatti, afferma: «Faccio notare che tanto l’Etna quanto lo Stromboli in ambedue le occasioni non presentarono fenomeni degni di menzione. I terremoti calabri, a mio credere, sono da classificarsi fra quelli da me chiamati di assettamento vale a dire sono movimenti causati dagli strati rocciosi della crosta terrestre, che, disturbati, cercano le loro ragioni di equilibrio»[6]. Baratta individua, confrontando sempre i vari terremoti della regione, un “asse” sismico che attraversa lo Stretto di Messina e volge a nord-est verso Scilla e a sud-ovest tagliando il massiccio vulcanico dell’Etna e l’area sismica di Mineo.
I terremoti d’Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica italiana[7] pubblicato nel 1901 è parimenti alla relazione sul terremoto del 1908 il lavoro più impegnativo di Baratta. Composto da 950 pagine, il volume si articola in tre parti: un catalogo dei terremoti italiani dall’antichità alla stesura del testo, lo studio della sismicità per regione e infine una bibliografia sui terremoti italiani. L’opera è dedicata “Al professore Giuseppe Mercalli con la riverenza e l’affetto di discepolo”. Baratta non aveva mai incontrato Mercalli come insegnate, tuttavia egli stesso afferma che durante i suoi studi le opere del grande sismologo erano servite per comprendere a fondo la sismologia.
La catastrofe sismica calabro messinese, pubblicato dalla Società Geografica Italiana nel 1910, costituisce lo studio più dettagliato e importante della letteratura scientifica sul terremoto del 28 dicembre 1908. L’opera consta di due volumi: il primo contiene il testo della relazione e 30 tavole con immagini fotografiche sul recente terremoto e sia riproduzioni di vecchie incisioni sul terremoto del 1783; il secondo, invece, è costituito esclusivamente da un apparato di tavole. Lo studio è dedicato a Raffaele Cappelli, deputato al parlamento e presidente della Società Geografica Italiana, colui il quale affidò lo studio del sisma a Baratta. In nostro sismologo, infatti, nella lettera dedicatorio posta nelle prime pagine del volume, afferma: «Appena avuto dalla S. V. Ill.ma l’onorifico incarico di studiare il violentissimo terremoto del 28 dicembre 1908, per il quale andarono distrutte Reggio e Messina con gli abitati circostanti, mi recai subito in quest’ultima città, allo scopo di raccogliere gli elementi più importanti per l’analisi scientifica del fenomeno, percorrendo la regione più concussa, e cercando in pari tempo di assumere informazioni attendibili per le località esteriori alla zona più fatalmente messa a soqquadro»[8]. Le osservazioni, come afferma lo stesso Baratta, in questa prima visita, furono rivolte anche al territorio reggino per meglio comprendere le dinamiche generali e gli effetti del terremoto. Egli ritornò verso la metà di febbraio del 1909 per poter meglio analizzare gli effetti a Reggio Calabria e al contempo rifinire gli appunti sul messinese. L’opera si pone come uno studio prettamente rivolto agli effetti macrosismici, priva invece di un’analisi più scientifica sulla sismicità. Come spiega lo stesso autore, la scelta è dovuta al fatto che molti ricercatori avevano già ampiamente trattato quell’aspetto e già pubblicato i loro risultati, evitando quindi una sterile ripetizione.
Studi vulcanologici
Mario Baratta dedicò parte dei suoi studi alle manifestazioni eruttive dei vulcani italiani, come l’Etna, il Vesuvio o Pantelleria. Il Vesuvio e le sue eruzione dall’anno 79 d.C. al 1896[9] è infatti il lavoro più importate a riguardo. Tuttavia non ebbe mai una risonanza nell’ambiente scientifico dell’epoca, probabilmente coperto da una maggiore fama dell’autore per quanto riguarda la sismologia e dalle altre pubblicazioni che in quel decennio furono pubblicate da illustri vulcanologi, come Luigi Palmieri, Arcangelo Scacchi, Eugenio Semmola e Giuseppe Mercalli. Il volume, non casualmente, è dedicato alla memoria dei primi due scienziati menzionati, il primo dei quali era morto di recente nel 1896: «Alla memoria dei Professori Luigi Palmieri ed Arcangelo Scacchi, che, con i loro studii sulla grande eruzione del 1855, aprirono alla Scienza nuovi orizzonti». Lo studio al quale allude Baratta è la Memoria sullo incendio vesuviano del mese di maggio 1855[10].
Lo scopo dell’opera di Baratta, invece, è di carattere divulgativo ed è rivolto a coloro i quali si interessano dei fenomeni naturali, ma al contempo utile per gli specialisti: «Credo tuttavia non tornerà del tutto sgradito anche ai Vulcanologi ed ai Geologi di professione, trovandosi in esso raccolte quelle notizie sulla attività e sui cambiamenti avvenuti nel vulcano finora sparse in una infinita quantità di pubblicazioni, che il tempo omai ha reso assai rare».
Una descrizione geografica del Vesuvio, posta nella parte iniziale del volume, pone una particolare attenzione alle strutture geologiche e alla storia eruttiva del vulcano.
Baratta effettua successivamente un confronto delle fonti storiche antecedenti all’eruzione pliniana del 79 d.C., accettando l’ipotesi che anticamente la parte sommitale del vulcano fosse troncata in modo obliquo degradando verso il mare. Alcune pagine sono dedicate all’eruzione di Pompei.
Nel capitolo Periodo eruttivo vesuviano sono analizzate le manifestazioni eruttive, suddivise in pliniane, stromboliane, vulcaniane, solfatariane e di estinzione. Per quanto riguarda le prime Barattta scrive: «Le fasi pliniane sono sempre molto violente: sono precedute, accompagnate e seguite da un lungo corteo di fenomeni sismici e nella loro durata – che generalmente è sempre breve – vengono lanciati, in mezzo a grande quantità di ceneri, dei proiettili di enorme peso anche a lontana distanza: spesse volte sia dal cratere (eruzioni centrali), sia da una squarciatura o da un sistema di spacchi formatisi lungo una generatrice, (eruzioni eccentriche) o su due generatrici opposte, o quasi opposte del cono (eruzioni eccentriche doppie),vengono emesse vere fiumane di lava». Segue la descrizione delle eruzioni stromboliane e vulcaniane. La fase solfatariana è caratterizzata dall’emissione di gas e vapori dal fondo del cratere. La fase di estinzione subentra quando non è evidente alcun segno di attività vulcanica.
L’attività del Vesuvio è stata caratterizzata, spiega l’autore, da cicli eruttivi che si intervallano con periodi di quiete più o meno lunghi, aventi le seguenti caratteristiche: «Il Vesuvio ce ne presenta uno spiccatissimo caratterizzato: a) da un leggero risveglio eruttivo, che gradatamente aumenta di intensità; b) da una più o meno lunga fase stromboliana con varii aumenti di attività, intercalata quasi sempre da eruzioni eccentriche di lava che possono perdurare per un tempo abbastanza lungo, mentre il cratere centrale si trova in attività vulcaniana; c) da una esplosione finale pliniana, dopo la quale il vulcano ritorna in fase di apparente estinsione, oppure in stato solfatariano, per ricominciare nuovamente il ciclo accennato». Elencati questi tratti vulcanologici tipici del Vesuvio, l’autore dedica ampio spazio nel volume alla cronologia delle eruzioni.
[1] Torquato Taramelli (Bergamo, 15 ottobre 1845 – Pavia, 31 marzo 1922) è stato un geologo italiano. I suoi studi più importanti furono la Carta geologica d’Italia e i suoi studi in sismologia.
[2] La Stampa, lunedì 11 gennaio 1909, pag. 3.
[3] Mario Baratta, Luigi Visintin, Grande Atlante Geografico, Novara, Istituto Geografico De Agostini, 1922.
[4] La Stampa, venerdì 6 settembre 1935, pag. 2.
[5] Il terremoto calabro-siculo del 16 novembre 1894, estratto da: Pensiero Italiano, fasc. LI, Milano Stabilimento tipografico Insubria, 1895.
[6] Il terremoto calabro-siculo del 16 novembre 1894, op. cit., p. 11.
[7] I terremoti d’Italia. Saggio di storia, geografia e bibliografia sismica italiana, tipografia fratelli Bocca, Milano-Roma-Firenze, 1901.
[8] La catastrofe sismica calabro messinese, Roma, presso la Società Geografica Italiana, 1910, p. XIII.
[9] Roma, Società editrice Dante Alighieri, 1897.
[10] Giovanni Guarini, Luigi Palmieri, Arcangelo Scacchi, Memoria sullo incendio vesuviano del mese di maggio 1855, Napoli, stabilimento tipografico di Gaetano Nobile, 1855.