A trentasei anni dal terremoto in Irpinia del 1980 tante cose sono cambiate sotto l’aspetto della conoscenza dei terremoti, ma oggi l’unica cosa importante da fare, per evitare disastri, è la prevenzione.
Oggi è il trentaseiesimo anniversario del terremoto dell’Irpinia (o terremoto del 1980), il sisma che si verificò il 23 novembre del 1980 che colpì la Campania centrale e la Basilicata, caratterizzato da una magnitudo 6,9 della scala Richter.
L’epicentro fù nel comune di Conza della Campania, in provincia di Avellino, e causò 280.000 sfollati, 8.848 feriti e 2.914 morti. Un terremoto spaventoso, quindi, un terremoto i cui effetti vennero prodotti in quasi tutta la Campania, Basilicata e Puglia (vedi figura 1 da INGV).
Il terremoto del 1980 è stato considerato come il sisma che ha dato inizio alla paleo-sismologia in Italia, in quanto negli anni ’80 e ’90 ci furono molti contrasti tra geologi e sismologi per spiegare l’evento.
Dopo l’evento, i dati sismologici indicavano un movimento della faglia, responsabile del terremoto, di tipo “estensionale” o “normale” (vedi figura 2); fu in questo modo che si capì che l’Italia centro-meridionale si stava ”stirando” dal Tirreno verso l’Adriatico. Ma questo fenomeno andava fortemente in contrasto con le conoscenze geologiche dell’epoca le quali sostenevano che l’Appennino fosse una catena a pieghe e faglie, nata da un processo di compressione crostale.
I terremoti di Gubbio e Abruzzo nel 1984, Umbria-Marche nel 1997, L’Aquila nel 2009 e soprattutto gli ultimi del Centro Italia, hanno confermato che il processo in atto è prevalentemente di tipo ”estensionale” della penisola nella direzione nordest-sudovest.
Ma con il terremoto del 1980 si iniziò a capire anche la complessità del fenomeno della fagliazione. Si capì infatti che l’evento non fu unico a rompere la crosta, ma almeno tre eventi minori avvenuti in un solo minuto. Infatti il sisma del 1980 fu causato da tre terremoti di magnitudo compresa da 6.4 a 6.6, per un totale pari a 6.9, verificati nell’arco di 40 secondi nella stessa zona.
Negli ultimi anni sismologi e geologi hanno capito che la maggior parte dei terremoti si sviluppano in modo analogo, anche se le differenze in tempo tra “sub-eventi” possono essere di ore, giorni, mesi o anni. In centro Italia sono trascorsi quasi due mesi, dal 24 Agosto al 30 ottobre 2016, in Umbria e Marche nel 1997 passarono 9 ore tra la prima e la seconda scossa forte, in Friuli nel 1976 alcuni mesi, in Abruzzo nel 1984 quattro giorni (7 e 11 maggio).
La sismologia, sta andando avanti, come si vede, ma purtroppo le zone dove si originano i terremoti sono inaccessibili agli strumenti e i geologi sismologi possiamo solo studiare il processo da lontano. Ciò che conta ed importante, adesso, è solo fare una buona prevenzione che deve partire prima di tutto dalla pianificazione urbanistica comunale.
In Campania, finalmente, sono ripartiti i finanziamenti per gli studi di Microzonazione Sismica, fermi da 5 anni. I comuni potranno pianificare il loro territorio capendo quali sono le aree presenti sul loro territorio con maggiore o minore pericolosità, perchè, ad oggi, questo è il solo modo per difenderci da un terremoto.
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IMMAGINE IN EVIDENZA (DA INGV): Il Comune di Conza della Campania raso al suolo dal sisma del 1980.