L’Etna e Stromboli, intervista alla vulcanologa Sonia Calvari

La vulcanologa Sonia Calvari, dirigente di ricerca presso l’INGV di Catania, ci svela alcuni segreti dell’Etna e dello Stromboli.

 

L’Etna e lo Stromboli sono gli unici vulcani attualmente attivi in Italia. In questa intervista la vulcanologa Sonia Calvari, dirigente di ricerca presso l’INGV (Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) di Catania ci svela i segreti di questi vulcani. Poiché sono tra i vulcani più attivi del pianeta essi sono tenuti costantemente sotto controllo, in particolare dai ricercatori della sezione catanese dell’INGV. Il monitoraggio racchiude numerosi sistemi che permettono di riscontrare valori anomali sia dal punto di vista della sismicità, che delle deformazioni e del chimismo dei gas.

 

Dr.ssa Calvari, spesso ci si chiede quando un vulcano, come l’Etna o lo Stromboli, possa eruttare. Quali dati o quali anomalie permettono a voi vulcanologi di poter fare previsioni su futuri eventi eruttivi?

Non è sempre possibile capire in anticipo quando un vulcano erutterà. La possibilità di prevedere una attività eruttiva dipende in primo luogo dalla qualità e quantità dei sistemi di monitoraggio esistenti, ma dipende moltissimo anche dal tipo di vulcano e dalle sue caratteristiche intrinseche. Un vulcano che erutta spesso, fornisce ai ricercatori molti esempi da studiare e permette di capire il suo comportamento molto più di uno che entra in eruzione raramente. Conosciamo molto più dell’Etna e dello Stromboli che del Vesuvio o dei Campi Flegrei. Tutti sono vulcani attivi italiani, ma i primi due sono in eruzione almeno ogni tre anni, gli ultimi due invece sono “quiescenti”, cioè sono in riposo da diversi anni o decenni, pur essendo ancora attivi. Un vulcano come l’Etna o come lo Stromboli è definito “basaltico” per la composizione delle sue lave, ed è simile a quello delle Isole Hawaii chiamato Kilauea. Questi vulcani sono caratterizzati da magma fluido, poco viscoso, che ha più la capacità di fluire sul suolo a formare colate laviche che a produrre episodi esplosivi, come le esplosioni stromboliane o le fontane di lava. Tuttavia anche questi vulcani possono produrre eventi esplosivi, che sono generalmente di breve durata e avvengono all’inizio di una fase eruttiva, quando viene emesso il magma più ricco in gas. Vulcani basaltici come l’Etna, lo Stromboli e il Kilauea, hanno anche la caratteristica di essere “a condotto aperto”. Ciò significa che il canale sotterraneo, che noi vulcanologi chiamiamo “condotto vulcanico”, che trasporta il magma dalla zona sorgente, posta ad alcuni chilometri di profondità, fino in superficie, rimane aperto, lasciando passare liberamente il gas. Essi mostrano una rapida risposta nel momento in cui nella zona sorgente entra nuovo magma. Si gonfiano, e mentre si gonfiano iniziano ad emettere cenere, si riscaldano, soprattutto nelle zone sommitali, ed emettono sempre più gas dalle bocche. Inoltre anche il tipo di gas emesso cambia, e ci indica che il vulcano si sta svegliando. Questo risveglio fa aumentare anche la sismicità, che nonostante alle volte non viene avvertita dalla popolazione, è registrata dagli strumenti di monitoraggio, e ci dice che il magma si sta spostando verso la superficie. Disponiamo adesso anche di sofisticatissimi strumenti che misurano le deformazioni del suolo con una precisione talmente alta che riescono ad indicarci con precisione la posizione del magma man mano che si muove nella crosta. Quando poi il magma giunge a qualche centinaio di metri sotto le bocche, anche il riscaldamento della superficie indica il suo approssimarsi, ed è rilevato dalle reti di telecamere nel visibile e nell’infrarosso ma anche dalle immagini satellitari. Queste ultime vengono sempre più utilizzate anche per individuare rigonfiamenti del vulcano a grande scala. Ci sono inoltre anche tutta una serie di laboratori nei quali misuriamo le composizioni delle rocce, delle acque, dei gas. Questi dati ci permettono di capire cosa sta avvenendo all’interno della “camera magmatica”, cioè dove il magma si accumula prima di venire eruttato in superficie.

 

Come avviene il monitoraggio dei vulcani siciliani, in particolare dell’Etna e dello Stromboli? Quali sono i sistemi che vengono utilizzati dal vostro Istituto?

Il primo e più antico sistema di monitoraggio utilizzato è quello sismico. Poiché il magma contiene gas, e poiché quando magma e gas si spostano verso la superficie causano un continuo “borbottio”, che in vulcanologia si chiama “tremore vulcanico”, quando questi segnali aumentano capiamo subito che ci troviamo all’inizio di una nuova fase eruttiva. Disponiamo adesso di una rete sismica molto estesa e complessa su entrambi i vulcani, che ci permette un monitoraggio continuo. Oltre alla sismicità disponiamo anche di diverse reti che misurano le deformazioni del suolo con diversi sistemi: tiltmetri (che misurano le variazioni di inclinazione della superficie), GPS (che misurano gli spostamenti di alcuni punti scelti), dilatometri (che misurano l’espansione o contrazione del suolo). Servono ad identificare quale zona del vulcano si sta gonfiando perché in essa si sta accumulando magma, e permettono anche di quantificare i volumi in gioco. Poi abbiamo anche diversi strumenti di misura dei gas, sia di quelli emessi dai crateri sommitali del vulcano, che di quelli rilasciati dalle fumarole, nelle falde acquifere, nei suoli. Anche questi dati ci indicano con anticipo di mesi quando nella zona di accumulo del vulcano (o camera magmatica) sta entrando nuovo magma dal profondo. Un altro sistema di monitoraggio molto importante è la rete di telecamere che tengono d’occhio il vulcano da diverse angolazioni, ed infine una serie di sensori che rilevano e misurano la cenere in atmosfera, visto che i nostri vulcani ci hanno abituato, negli ultimi anni, a produrre sempre più spesso eventi esplosivi che hanno un forte impatto sui centri abitati, sugli aeroporti di Catania, Comiso e Reggio Calabria, e anche sulla viabilità e la stabilità dei tetti, oltre che sulla salute dei cittadini.

Figura 1 - Il vulcano Etna ripreso da Sud, con in primo piano il campo lavico dell'eruzione del 2001 e la strada che dal Rifugio Sapienza, al centro, porta a Zafferana Etnea, sulla destra. (Foto di Sonia Calvari)

Figura 1 – Il vulcano Etna ripreso da Sud, con in primo piano il campo lavico dell’eruzione del 2001 e la strada che dal Rifugio Sapienza, al centro, porta a Zafferana Etnea, sulla destra. (Foto di Sonia Calvari)

L’Etna negli ultimi anni ha presentato un’attività eruttiva esclusivamente esplosiva limitata all’area sommitale. Quali sono le caratteristiche principali di questi eventi?

In realtà sono pochi gli eventi esplosivi che non siano stati anche accompagnati da colate di lava. Di solito il vulcano produce delle spettacolari fontane di lava nelle fasi iniziali e poi, quando la maggior parte del gas è stato liberato, viene fuori il magma degassato a formare tranquille colate laviche. Questi eventi sono iniziati con una certa frequenza nel 2000, quando il Cratere di SE produceva piccole fontane alte 100-200 m ed accompagnate da colate laviche finali lunghe qualche centinaio di metri. In quell’anno abbiamo avuto ben 66 episodi di fontana di lava, ma complessivamente i volumi eruttati erano un decimo di quanto il vulcano produce con le fontane di lava più recenti. Questi eventi nel 2000 duravano di solito circa mezz’ora ed i volumi in gioco erano veramente piccoli. Con l’eruzione laterale del 2001 e poi con quella del 2002-2003, questa attività ha assunto proporzioni maggiori ed anche più pericolose. Nel periodo 2011-2013 abbiamo avuto circa 44 episodi di fontana di lava dal Cratere di SE. Questi eventi sono molto diversi da quelli che lo stesso cratere produceva nel 2000, perché le fontane raggiungono altezze maggiori (arrivano anche a 4000 metri), producono una colonna eruttiva sostenuta che ha raggiunto anche i 15 km, e i volumi eruttati sono circa dieci volte maggiori, per cui rappresentano un rischio maggiore per la popolazione e i centri abitati.

 

Cosa potremmo aspettarci in futuro dall’Etna?

L’Etna è un vulcano “sorprendente”, non solo perché le sue eruzioni sono veramente spettacolari, ma anche perché quando pensiamo di aver capito tutto del suo comportamento, allora ci sorprende con delle fenomenologie inattese. Questo è avvenuto ad esempio nel 2004, quando la lava è iniziata ad uscire dalle bocche sommitali senza mostrare alcun segno premonitore. Né sismicità, né deformazioni del suolo, né variazioni di temperatura, o composizione dei gas emessi, nulla. Ma intanto la lava usciva, lenta, inesorabile, per fortuna diretta verso la Valle del Bove, una zona priva di centri abitati. Mettendo insieme tutti i dati registrati dalle varie reti di monitoraggio, in seguito siamo riusciti a capire cosa era successo. Semplicemente quell’anno lo scivolamento verso mare del fianco orientale del vulcano aveva subito un’accelerazione. Questo movimento aveva causato una decompressione della zona craterica sommitale, producendo delle spaccature dalle quali era semplicemente uscito “passivamente” il magma che stazionava lì, residuo delle eruzioni precedenti. Ecco perché non avevamo registrato alcun segnale precursore. È come quando ci tagliamo una mano ed esce il sangue. La causa quella volta è stata occasionale, un “accidente” imprevedibile. In tutti gli altri casi, per fortuna, siamo invece in grado di prevedere con un certo anticipo cosa succederà. E da studi recenti abbiamo anche visto che il nostro vulcano produce una quantità costante di magma. Quindi misurando quanto ne viene emesso ogni anno, possiamo stimare quanto ne rimane all’interno, e prevedere quanto ne uscirà durante la prossima eruzione. Salvo però comportamenti “sorprendenti”, che possono sempre verificarsi.

Figura 2 - La foto mostra il fianco settentrionale dello Stromboli, con i crateri che degassano nella parte alta del vulcano (dove si vede la nube bianca di gas). Alla sinistra della foto si nota il campo lavico che si è formato durante l'eruzione del 2007 lungo il fianco orientale della Sciara del Fuoco. (Foto di Sonia Calvari)

Figura 2 – La foto mostra il fianco settentrionale dello Stromboli, con i crateri che degassano nella parte alta del vulcano (dove si vede la nube bianca di gas). Alla sinistra della foto si nota il campo lavico che si è formato durante l’eruzione del 2007 lungo il fianco orientale della Sciara del Fuoco. (Foto di Sonia Calvari)

Lo Stromboli è in intermittente attività stromboliana da centinaia di anni. Quali sono le principali caratteristiche della sua attività?

Lo Stromboli è caratterizzato da esplosioni discrete che si ripetono a intervalli più o meno regolari di qualche minuto. Questa attività esplosiva di bassa intensità viene chiamata Stromboliana proprio dal nome di questo vulcano. Questo tipo di attività è determinata dal rilascio di gas dalla superficie del magma attraverso grandi bolle che esplodono, lanciando intorno brandelli di lava incandescenti. Quando l’attività è più bassa, e quindi le esplosioni sono più distanziate tra loro, sul fondo del cratere si può formare una crosta solida che in parte ostruisce il condotto. Non dobbiamo pensare ad un tappo solido come quello che chiude una bottiglia di vino o di spumante. Il tappo in questo vulcano, o anche sull’Etna, ed in genere nei vulcani basaltici “a condotto aperto”, è invece costituto da una serie di blocchi di lava più o meno calda o anche incandescente che si accumula intorno alla bocca esplosiva formando come una massa di detrito sciolto. L’esplosione del gas sotto questa coltre di detrito lancia in aria, oltre ai brandelli di lava incandescente, anche piccole nubi di cenere. Maggiore è lo spessore di questo “tappo” di detrito, maggiore sarà la quantità di cenere emessa durante le esplosioni Stromboliane. Quindi dal tipo di prodotti che vediamo eruttare da un vulcano (per esempio solo brandelli di lava incandescenti, oppure una miscela di brandelli di lava e piccole nubi di cenere) possiamo immaginare di cosa è fatta la parte alta del suo condotto di alimentazione (con tappo o senza).

 

Stromboli ha presentato anche fasi di maggiore attività. Cosa accadde durante le crisi eruttive del 2002-2003 e del 2007 e ancora più recentemente nel 2014?

Abbiamo detto che la caratteristica dello Stromboli è quella di produrre esplosioni discrete intermittenti e di bassa intensità. Il livello del magma nel condotto non è sempre uguale, ma si alza e si abbassa di diverse decine di metri in funzione della quantità che risale dalla camera magmatica superficiale, posta ad alcuni chilometri di profondità sotto il vulcano. Il livello sale nel condotto perché la miscela di magma e gas è meno densa della roccia circostante, quindi si comporta come il ghiaccio che galleggia sull’acqua, perché contiene al suo interno anche aria ed è quindi meno denso dell’acqua. Quando il livello del magma sale, la pressione esercitata sulle pareti del condotto aumenta, ed il condotto si può spaccare. È un processo molto simile a quello che possiamo osservare quando prepariamo la pasta fatta in casa. Facciamo un piccolo cumulo di farina, e poi nel centro mettiamo l’acqua per impastare. Ma poiché la farina è sciolta, se mettiamo troppa acqua nella parte centrale questa può far crollare una porzione del cumulo di farina, e l’acqua esce lateralmente. Lo stesso avviene nel vulcano. La parte alta dello Stromboli, cioè la zona delle bocche, è formata dall’accumulo di materiale incoerente. Basta quindi una piccola spinta da parte del magma che si innalza all’interno del condotto che questo si spacca, facendo uscire il magma che fluisce in superficie a formare una colata lavica. Questo è ciò che è successo durante le ultime tre eruzioni laterali, che sono avvenute appunto nel 2002-03, nel 2007 e nel 2014. Nel 2002-03 c’è stata anche una frana che ha fatto crollare a mare una parte del fianco nord del vulcano, innescando un maremoto o tsunami. Questi eventi catastrofici possono essere causati anche da terremoti o da eruzioni vulcaniche sottomarine, ma sono molto rari nel Mediterraneo.

Foto di Sonia Calvari

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