Effetti di sito e periodi di vibrazione

In che modo, registrando le oscillazioni naturali del sottosuolo in assenza di sisma o di eccitazioni volontarie, è possibile stabilire i suoi periodi di vibrazione.

di Silvia Castellaro

Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Bologna

 

Era il 19 settembre 1985 quando Città del Messico fu risvegliata da un violento terremoto (MW = 8.0). Quell’evento passò alla storia perché la maggior parte dei danni da esso provocati non avvenne in prossimità dell’epicentro (Michoacán) ma a 300-400 km da esso, appunto a Città del Messico. Il fenomeno per cui il moto sismico può risultare particolarmente amplificato in alcune zone a causa della litologia locale (Città del Messico si trova su un bacino sedimentario sovrastante roccia perlopiù vulcanica), anche molto lontano dalla sorgente, prende il nome di “effetto di sito”. Di tale fenomeno si ebbe evidenza per la prima volta nella storia della sismologia mondiale in occasione di questo terremoto.

In Italia gli “effetti di sito” iniziarono ad essere considerati a seguito del terremoto di San Giuliano di Puglia del 2002, come possibile giustificazione del tristemente noto crollo della scuola Francesco Jovine. Tuttavia, anche se in quel caso la colpa del crollo non poté essere attribuita ad una amplificazione sismica differenziale del terreno, fu quel terremoto a rendere sensibile l’Italia alla necessità di una caratterizzazione dinamica dei sottosuoli.

Semplificando al massimo, le strutture possono essere immaginate come pendoli rovesciati (o come altalene rovesciate) che vengono spinte dal sottosuolo durante i terremoti. È esperienza comune che le altalene oscillino a lungo se vengono sollecitate secondo il loro periodo proprio, ossia quando si trovano ad un estremo della oscillazione. Diversamente, se le spingiamo ad intervalli casuali, si fermano rapidamente.

Per le strutture accade la stessa cosa: se il sottosuolo, attraverso il terremoto, le sollecita (spinge) secondo il loro periodo proprio, esse oscilleranno a lungo. Questa condizione è quanto l’ingegneria sismica moderna vuole evitare.

È quindi necessario possedere tecniche e strumenti per poter misurare o prevedere i periodi di oscillazione dei sottosuoli e delle strutture. A titolo puramente generale, un edificio di un solo piano fuori terra oscilla circa 10 volte in un secondo, un edificio di 3 piani fuori terra oscilla all’incirca 3 volte al secondo, un edificio di 15-20 piani impiega circa 1 secondo per compiere una oscillazione (questi valori sono puramente indicativi e dipendono da molti fattori).

Anche i sottosuoli, esattamente come le strutture, sono oscillatori che non vibrano in modo indistinto ma secondo specifici periodi (detti di risonanza), determinati dalle rigidezze e dagli spessori dei loro strati. In Italia i primi tentativi sistematici di caratterizzazione di questi periodi nei sottosuoli risalgono ai primi anni 2000. Essi partono dall’osservazione cheil sottosuolo vibra ai periodi propri non solo in presenza di terremoto ma anche in condizioni di eccitazione da microtremore ambientale, ossia sotto l’effetto del traffico urbano, del vento, delle onde del mare, delle perturbazioni metereologiche. Ne segue che registrando le oscillazioni naturali del sottosuolo in condizioni definite passive (ossia in assenza di sisma o di eccitazioni volontarie), è possibile stabilire i suoi periodi di vibrazione. Lo stesso procedimento può essere adottato per le strutture. Le misure sono estremamente rapide ed oggi a portata di tutta la comunità geologica ed ingegneristica.

In Figura 1 sono riportati alcuni esempi di periodi propri del sottosuolo registrati in alcuni punti dell’Italia. Ogni picco delle curve (chiamate H/V) indica un periodo proprio di vibrazione del sottosuolo. E’ evidente che alcuni sottosuoli possono avere più periodi di vibrazione, e quindi spingere diverse tipologie di edifici in modo critico durante un terremoto.

Figura 1. Qualche esempio reale di frequenze di amplificazione dei sottosuoli in cui ci si può imbattere in Italia. A) molte amplificazioni in alta frequenza, tipiche nelle zone montane moreniche: in questo esempio siamo a Verbania. Amplificazioni in bassa frequenza tipiche delle grandi pianure fluviali con bedrock profondi, come la Pianura Padana (B) o la piana dell’Arno (C, qui siamo a Pisa) o ancora delle profonde piane lacustri (D, qui siamo nel Fucino, AQ). E) molte amplificazioni a basse e alte frequenze, legate a successioni geologiche complesse (qui siamo a Messina, in prossimità di una spalla dell’immaginario ponte sullo stretto).

Figura 1. Qualche esempio reale di frequenze di amplificazione dei sottosuoli in cui ci si può imbattere in Italia. A) molte amplificazioni in alta frequenza, tipiche nelle zone montane moreniche: in questo esempio siamo a Verbania. Amplificazioni in bassa frequenza tipiche delle grandi pianure fluviali con bedrock profondi, come la Pianura Padana (B) o la piana dell’Arno (C, qui siamo a Pisa) o ancora delle profonde piane lacustri (D, qui siamo nel Fucino, AQ). E) molte amplificazioni a basse e alte frequenze, legate a successioni geologiche complesse (qui siamo a Messina, in prossimità di una spalla dell’immaginario ponte sullo stretto).

 

 

 

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