Uno dei siti paleontologici più interessanti d’Italia si trova presso il Villaggio del Pescatore, nel Comune di Duino Aurisina, vicino a Trieste.
La scoperta dei primi resti fossili avvenne verso la fine degli anni ’80, ad opera di alcuni appassionati. Questi avevano individuato una zona adiacente alla riva nei pressi di una cava abbandonata, tracce di organismi fossilizzati. Questa segnalazione diede l’avvio, nei primi anni ’90, ad una campagna di scavo preliminare date in concessione dal Ministero al Museo Civico di Storia Naturale di Trieste. Uno dei reperti rinvenuti era una coppia di zampe perfettamente conservata.
Il caso ha voluto che ad una studentessa, Tiziana Brazzatti, al termine del suo corso di studi alla facoltà di Scienze Geologiche dell’Università degli Studi di Trieste, fosse assegnata una tesina in Rilevamento Geologico proprio in quella zona. Nel rilevare l’area, il 25 aprile del 1994, scorse tra le rocce calcaree un affioramento che presentava in superficie una zampa anteriore di un rettile fossile.
Fu la scoperta di quell’esemplare ormai noto, che familiarmente chiamiamo Antonio.
Ciò spinse il Ministero ad intraprendere una nuova campagna di scavi molto più approfondita negli anni 1996-1997. La posizione stratigrafica verticale degli strati fece presupporre la continuità di questa zampa anteriore in profondità facendo ipotizzare anche la presenza di uno scheletro completo. Lo scavo venne effettuato dalla ditta “Stoneage” di Trieste, esperta in scavi paleontologici e in accordo con l’Università degli Studi di Trieste, negli anni 1998-1999. Emersero oltre all’individuo pressoché completo, anche una ricca fauna comprendente altri esemplari di dinosauro della stessa specie, uno di questi soprannominato Bruno e delle ossa disarticolate di altri esemplari, fossili di coccodrilli primitivi, pesci, gamberi e resti vegetali.
Ci sono voluti sei mesi di lavoro sul terreno e 3500 ore di preparazione in laboratorio per estrarre il più grande e completo dinosauro italiano ed europeo. E’ stato necessario ricorrere a metodologie particolari per estrarre i fossili dalla roccia, sia in fase di scavo che nei successivi interventi di preparazione. La giacitura verticale degli strati e la morfologia del terreno di fatto impedivano gli approcci tradizionali. In maniera del tutto innovativa, valutati i rischi ed i vantaggi, si è effettuato un taglio orizzontale della lente fossilifera, ad una profondità media di due metri dalla superficie.
Un altro taglio, sempre eseguito con un cavo ad inserti di diamante, è stato eseguito perpendicolarmente al primo. Si sono creati così due gradi di libertà nella compagine rocciosa che, combinati alla naturale fatturazione del calcare hanno isolato una serie di grandi blocchi, movimentati poi dagli escavatori. Anche la preparazione è stata condotta con tecnologie d’avanguardia. Appurato che la differenza di chimismo tra fossile e matrice era marcata, mentre la
discontinuità meccanica era irrilevante, si è calibrato un attacco con soluzione acida, attraverso un’apposita serie di pompe a circuito chiuso, riuscendo a sciogliere la roccia senza danneggiare i reperti in essa contenuti. Il metodo, se pur noto, non era mai stato applicato a fossili della mole di un dinosauro. In effetti proprio le dimensioni dei blocchi di roccia, il loro peso, la microfratturazione interna e la delicatezza di alcune strutture fossili, hanno creato ai tecnici della
Stoneage non pochi problemi risolti con un lavoro di equipe che ha coinvolto anche esperti internazionali del settore.
Questo giacimento fossilifero rappresenta una delle più importanti scoperte della paleontologia italiana del XX secolo. Sono a tutt’oggi gli unici dinosauri ritrovati in Italia in corrispondenza stratigrafica (cioè in relazione agli strati di roccia). Risale al dicembre del 2009 l’attribuzione del dinosauro Antonio al gruppo degli adrosauroidi, parenti stretti degli adrosauri americani dal becco d’anatra.
La presenza di questi rettili terrestri nel Nord-Est d’Italia ha costretto ad una sostanziale revisione della concezione paleogeografica del Carso Triestino nel Cretacico Superiore, che si credeva essere un ambiente marino o lagunare. Gli ultimi studi ipotizzano invece la presenza in questa area di terre emerse, molto probabilmente un arcipelago di isole, dove in periodi di regressione marina si creavano lingue di terraferma che collegavano un’isola all’altra.
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FONTE: comunicato stampa dal sito web ufficiale della scopritrice del dinosauro Antonio